Alice Nel Paese delle Meraviglie: Una Rilettura In Chiave Psicologica

Alice nel paese delle meraviglie

Articolo scritto dal Dr. Paolo Mazzaferro

Alice nel Paese delle Meraviglie è una favola, un cartone animato, un’opera teatrale e un viaggio all’interno del mondo dell’ignoto che Lewis Carroll ha voluto donarci e che, negli anni, è stato letto e riletto in chiave simbolica e psicologica. Come mai? Lo scrittore ha intenzionalmente voluto lasciare “aperte” le possibilità interpretative, cosicché ogni persona possa inserire il suo mondo all’interno di quello di Alice: ognuno vede con le proprie lenti il viaggio che la bambina fa in quello che sembra essere il centro della terra ed i personaggi che incontrerà di volta in volta. Da un punto di vista squisitamente nozionistico, questa storia è stata dapprima letta come l’eterna lotta tra l’essere bambino e l’età adulta e poi declinata nella lotta contro il tempo, in cui razionalità e possibilità di immaginare segnano le varie fasi del cammino verso il diventare adulti. Di pari passo alla crescita dal punto di vista temporale, si mostra anche un cambiamento interiore: Alice, attraverso le numerose esperienze, amplia le proprie competenze sia riguardo agli obiettivi che vuole perseguire, sia sul “come” ha intenzione di perseguirli.

1. I temi alla base di Alice nel paese delle meraviglie 

Possiamo ricondurre al libro di Carroll alcuni temi fondanti, che poi declineremo, attraverso i personaggi della storia. Le tematiche che possiamo mettere in luce sono quelle relative all’espressione e alla conoscenza di sé all’interno del viaggio: in molte occasioni Alice si trova davanti a delle scelte che, inevitabilmente, la portano a decidere quale sia “veramente” la sua strada, per questo deve cambiare il proprio modus operandi per poter raggiungere gli obiettivi prefissati (vedi, soprattutto, il raggiungimento del Bianconiglio). 

Collegato strettamente a questo, i modi attraverso i quali la protagonista modifica sé stessa in relazione al fine sono estremamente brillanti e affascinanti: ad esempio, ingrandisce e rimpicciolisce in relazione a come pensa all’obiettivo. Non sempre riesce: spesso infatti comprende di aver utilizzato un modo “sbagliato” di approcciarsi al fine, che è quello di raggiungere il coniglio bianco, e per questo cambia coerentemente “modo” di interfacciarsi con esso, modificando il proprio corpo e le proprie strategie. Tali strategie, a volte, possono risultare assurde considerando il traguardo al quale sono sottese: ad esempio, in un passaggio della storia, la bambina vuole asciugarsi in mare con le onde. La riflessione su questa azione, che sembra banale, può essere: quante volte tentiamo azioni o abbiamo in mente piani che non solo non risolvono il problema, ma lo ingrandiscono? Quante volte, per risolvere una questione, ne creiamo due/tre/quattro?

Un altro tema che vogliamo trattare è legato alla costruzione dell’identità di Alice attraverso questo racconto: in più situazioni, infatti, alcuni personaggi le chiedono chi sia e da dove venga. Queste domande, alle quali in parte la bambina non sa rispondere, la mettono nella condizione di doversi fermare a capire quale ruolo sta mettendo in scena, come lo stia interpretando e con quale scopo lo stia facendo. 

2. I personaggi….in chiave “Psi”

Sono molti gli spunti che siamo interessati ad afferrare soffermandoci sia sui personaggi principali e conosciuti da tutti, sia su quelli secondari che mettono in posizioni scomode Alice all’interno del suo viaggio. 

Anche i fiori e gli uccelli sono riconducibili allo stesso tema. La scena relativa ai fiori è molto interessante, poiché essi scambiano la protagonista per una di loro: solamente per il fatto che Alice si trovi nel loro mondo (cioè poggi a terra), i fiori danno per scontato che lei ne faccia parte senza pensare né a come sia finita lì, né ai criteri quantomeno estetici che possano far inserire un qualsiasi oggetto animato o inanimato all’interno del loro regno. Da un punto di vista relazionale, la questione è molto interessante: quanto siamo disposti a non inglobare l’altro all’interno delle nostre etichette? Quante volte riconduciamo l’ignoto, ovvero ciò che non sappiamo e di cui non abbiamo criteri sufficienti di identificazione, al noto (cioè a quello che già identifichiamo come conosciuto ed assodato)? Facciamo un esempio: stiamo insieme ad una persona che sta vivendo una situazione considerata da essa estremamente difficile, ma che noi abbiamo superato senza grandi problemi o patemi d’animo in passato. Quanto è difficile non giudicare ciò che dice/fa l’altra persona? Quanto è complesso non dire: “mi sembra esagerato”? Spesso ci convinciamo che l’altro possieda il nostro modo di intendere la vita e di affrontare i problemi, le nostre strategie, le nostre possibilità di agire, i nostri obiettivi di vita, il nostro passato. Ma è VERAMENTE possibile dire: “Ti capisco, ci sono passato quindi non ti preoccupare”? Oppure sarebbe più coerente pensare: “Non conosco come formula il problema ma gli starò vicino nonostante non stia pienamente capendo la difficoltà che prova”? Stessa identificazione la fanno, in parallelo, gli uccelli: essi collegano Alice ad un serpente solamente a causa della sua alimentazione senza chiedersi nient’altro. L’affermazione: “La bambina piccola che mangia le uova è un serpente perché, appunto, mangia le uova” è allo stesso tempo brillante ed avvilente: brillante per la capacità dello scrittore di mostrarci come sia semplice collegare un solo elemento e bloccarlo all’interno della narrazione che si fa di una persona, non dandole la possibilità di “essere altro”; avvilente in quanto, nel parallelismo, ci chiediamo quante volte nella vita di tutti i giorni possa capitare una situazione simile. Come limitiamo la varietà di modi di esistere di una persona solo con un aggettivo o una definizione? Quando diciamo “tossico” a qualcuno, cos’altro non stiamo vedendo? In quale ruolo lo blocchiamo e non gli permettiamo noi stessi di uscirne? 

Un altro contesto di riferimento simile è quello del Cappellaio Matto e del Leprotto Bisestile. Essi appiccicano un’etichetta alla piccola Alice, che rovescia completamente la realtà che siamo abituati a vivere ed esperire. L’etichetta è quella di essere matta perché non conosce il “non-compleanno”. Quanti criteri abbiamo per definire una persona “pazza”? Quali processi utilizziamo per poter congelare una persona in un ruolo solo perché lo definiamo “opposto” o “diverso” rispetto ai canoni di riferimento? Ci stiamo dicendo che la “follia” è diversa dalla “normalità” solo perché non coincidono le descrizioni che facciamo dell’una o dell’altra? Oppure dovremmo prima chiederci quale sia la norma e come la costruiamo, poi comprendere come inseriamo la “pazzia” dentro queste strette maglie?

Altro personaggio meraviglioso che incontriamo in questa assurda storia è il Brucaliffo: tutti i passaggi sarebbero da snocciolare, poiché è così interessante ciò che trasmette che non basterebbe un solo articolo su di lui. Soffermiamoci però su un dialogo in particolare, preso in questo caso dal cartone animato della Disney, che esplicita in modo rapido e potente una grande questione. Il dialogo è il seguente: Brucaliffo: “Tu, chi esser tu, tu?”. Alice: “Beh, non le pare che potrebbe prima dirmi lei – cosa essere lei?”. Brucaliffo: “Un’incognita, per ora Brucaliffo”. Questo passaggio arriva subito dopo la domanda rivolta ad Alice: “Cosa essere tu?”. Il Brucaliffo sta mettendo in luce quanti e quali ruoli possiamo vivere ed interpretare all’interno di una giornata e propone alla bambina questa riflessione. Pensiamoci: durante le 24h “siamo” fratelli, amici, sorelle, lavoratori, sportivi, studenti, mariti, mogli, figli ed ogni ruolo ha il suo copione e il suo contesto di riferimento. Bellissima la risposta: “Un’incognita, per ora Brucaliffo”: l’incognita, spesso conosciuta con “x” in matematica, assume il valore che noi le diamo a seconda del contesto di riferimento (ad esempio, un’espressione). Tradotto nella quotidianità: i nostri genitori ci affiderebbero il valore di “figlio” all’incognita x, il nostro ragazzo affiderebbe il valore di “compagna”, i nostri nonni quello di “nipote” e così via. È per questo che il personaggio vuole dare un punto di riferimento ad Alice, dicendo che “per ora” è Brucaliffo, poi dipenderà dal contesto e da chi vi abita in esso. Emblematica è la scena in cui diventa farfalla: non è più bruco, quindi l’incognita ha repentinamente cambiato il proprio valore ai nostri occhi. 

Ultimo grande personaggio che nominiamo in questo testo è lo Stregatto che, con Alice, ha un grande dialogo dal punto di vista del significato e delle domande che fa porre. Alice: “Vorrei sapere che strada prendere”. Stregatto: “Dipende dove vuoi andare”. Alice: “Basta che arrivi da qualche parte”. Stregatto: “Oh di sicuro lo farai, se solo camminerai abbastanza a lungo”. Logica per logica, lo Stregatto non dice nulla di sbagliato, ma, da Interazionisti, ci si chiede: quale obiettivo ho? Dove voglio arrivare? Senza comprendere cosa mi muove, cioè l’esigenza che ho di “cambiare qualcosa” nella mia vita, posso anche mettermi in azione ma senza alcun risultato concreto. Come mai? Perché sono io stesso che valuto i risultati e li definisco “coerenti” con ciò che cerco o “difformi” da ciò che speravo. Se non so dove andare, come sarò in grado di giudicare ciò che troverò? Facciamo un esempio concreto pensando ad una persona che si definisce “insoddisfatta dalla vita, nonostante abbia provato tante cose nuove e fatto una moltitudine di esperienze”. I suoi movimenti sono sottesi ad un obiettivo? Sa quali dovrebbero essere i risultati? Ha strategie coerenti con gli obiettivi prefissati? Ha svolto un’analisi accurata delle sue esigenze, tanto da attivarsi nel “fare nuove esperienze”? Se così non fosse, il rischio è quello di un giro a vuoto, che si riflette nel corso del tempo in una descrizione di sé come “insoddisfatto dalla vita”. È per questo che, alla fine, lo Stregatto ricorda ad Alice che stava seguendo il Bianconiglio, motivo per cui quel contesto è solo un passaggio per il raggiungimento dell’obiettivo. 

Conclusioni 

Come abbiamo potuto vedere, il racconto di Lewis Carroll è un viaggio all’interno delle esperienze umane, un modo di intendere la vita e gli obiettivi che ogni persona si dà all’interno del proprio percorso. La possibilità di leggere altro oltre la storia, di farci domande rispetto ai contesti descritti e la portabilità della favola all’interno delle nostre esperienze quotidiane sono sicuramente quel plus permesso dallo scrittore stesso, profondo conoscitore del Mondo e di chi lo abita. 

Se questo articolo ti ricorda qualcosa della tua storia, chiedere aiuto ad un professionista può essere necessario nel definire e co-costruire una nuova identità.

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