Articolo scritto dalla Dr.ssa Rosalba Rimola
I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale. Il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders- Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) elenca sei categorie diagnostiche principali (Pica, Disturbo da ruminazione, Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo, Anoressia nervosa, Bulimia nervosa, Disturbo da binge-eating), più due residue (Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione; Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione). In questo articolo si prenderà in considerazione, nello specifico, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo. Il primo paragrafo spiegherà che cos’è tale disturbo, l’insorgenza e le caratteristiche diagnostiche principali; nel secondo paragrafo verranno presi in considerazione i sintomi tipici del disturbo e a seguire, nel terzo paragrafo, verranno esplicitate le probabili cause. Nel quarto paragrafo verranno descritte le strategie per affrontare il disturbo. Il quinto paragrafo, metterà in evidenza come superare il disturbo restrittivo di cibo con la terapia psicologica, prendendo in considerazione la terapia cognitivo comportamentale, la terapia psicodinamica e la terapia familiare.
1. Che cos’è l’assunzione restrittiva di cibo
Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo fa parte dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. La caratteristica diagnostica principale è l’evitamento o la restrizione nell’assunzione di cibo manifestati da un’incapacità clinicamente significativa nel soddisfare i requisiti per la nutrizione oppure da un apporto energetico non sufficiente attraverso l’assunzione orale di cibo. Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo è più comune nei bambini che negli adulti e può trascorrere anche molto tempo tra l’insorgenza e la manifestazione clinica. Bambini con tale disturbo possono essere irritabili durante il momento della nutrizione o apparire chiusi in sé stessi. Ci sono dei casi in cui la relazione caregiver-bambino può contribuire o aggravare i problemi legati alla nutrizione (ad esempio quando il caregiver interpreta il comportamento del bambino come una modalità aggressiva). Tale disturbo, non comprende l’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo legati ad una ridotta o mancata necessità di cibo o a pratiche culturali (come ad esempio digiuni religiosi). Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo non è spiegato da un’eccessiva preoccupazione relativa alla forma o al peso del proprio corpo e nemmeno da disturbi mentali o fattori medici. Quando il disturbo dell’alimentazione si verifica nel contesto di un’altra condizione o disturbo, la gravità del disturbo dell’alimentazione eccede quella normalmente associata alla condizione o al disturbo e richiede ulteriore attenzione.
2. Assunzione restrittiva di cibo: sintomi
Per far sì che si possa parlare di disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo devono essere presenti uno o più dei seguenti sintomi: importante perdita di peso (o mancato raggiungimento dell’aumento ponderale previsto oppure una crescita discontinua nei bambini), significativo deficit nutrizionale, dipendenza dall’alimentazione parenterale o da supplementi nutrizionali orali o una marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.
Per quanto riguarda la perdita di peso, bambini e adolescenti, in fase di crescita, possono non mantenere il peso o l’aumento dell’altezza lungo la propria traiettoria evolutiva. Il significativo deficit nutrizionale, si basa su una valutazione clinica (es. esami di laboratorio) e l’impatto sulla salute fisica può essere estremamente dannoso (anemia, bradicardia, ipotermia).
La malnutrizione, in casi gravi, può condurre a pericolo di vita. L’utilizzo dell’alimentazione parenterale o l’utilizzo di supplementi nutrizionali orali risulta necessaria poiché è richiesta l’alimentazione supplementare per sostenere un apporto nutrizionale nella norma. Esempi di situazioni che richiedono un’alimentazione supplementare comprendono ad esempio persone che utilizzano il sondino nasogastrico o che fanno affidamento a supplementi nutrizionali orali in assenza di altra condizione medica.
Inoltre, l’incapacità di partecipare alle attività sociali, come mangiare in pubblico, indica un’importante interferenza con il funzionamento psicosociale.
E’ importante sottolineare che la perdita di appetito, che precede la restrizione dell’assunzione di cibo, è un sintomo non specifico che può accompagnare altre diagnosi di disturbo mentale. Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo può essere diagnosticato in concomitanza di altri disturbi (come ad esempio allergie o intolleranze alimentari, disturbo dello spettro autistico, anoressia nervosa) se sono soddisfatti tutti i criteri diagnostici e il disturbo dell’alimentazione richiede una specifica attenzione clinica.
3. Assunzione restrittiva di cibo: cause
La causa esatta del disturbo non è ancora nota ma i fattori scatenanti la manifestazione di questo disturbo possono comprendere fattori temperamentali, ambientali, genetici, fisiologici e psicosociali.
Per quanto concerne i fattori di rischio temperamentali, disturbi come, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo dello spettro autistico e il disturbo da deficit dell’attenzione e dell’iperattività possono aumentare il rischio del comportamento evitante o restrittivo. Per quanto riguarda i fattori di rischio ambientali, comprendono, ad esempio, l’ansia familiare. Tassi maggiori di disturbi dell’alimentazione possono verificarsi in figli di madri con disturbi dell’alimentazione. Sono stati anche individuati fattori di rischio genetici e fisiologici. I comportamenti del disturbo evitante e restrittivo dell’assunzione di cibo sono stati associati ad una storia medica di disturbo da reflusso gastroesofageo, vomito, condizioni gastrointestinali e altre problematiche mediche. Altri fattori che possono essere associati al disturbo sono il temperamento del bambino o compromissioni dello sviluppo che possono renderlo meno reattivo nei confronti della nutrizione. In alcune persone, l’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo possono essere causati dalle caratteristiche sensoriali del cibo, come una spiccata sensibilità all’odore, alla consistenza, al colore, alla temperatura, all’aspetto o al gusto. L’evitamento o la restrizione dell’assunzione di cibo possono anche rappresentare una risposta condizionata negativa associata all’assunzione di cibo, che segue o anticipa un’esperienza negativa, come ad esempio episodi di vomito ripetuti o soffocamento. Altre cause possono includere una mancanza di interesse per il cibo o in generale per il mangiare, tale mancanza di interesse conduce a una crescita discontinua e a perdita di peso. In bambini più grandi o adolescenti, altre cause possono essere legate a difficoltà emotive che non soddisfano i criteri diagnostici per il disturbo d’ansia, un disturbo bipolare o un disturbo depressivo.
4. Come superare il disturbo restrittivo dell’assunzione di cibo
Le linee guida nazionali ed internazionali sono in accordo su due principi generali per quanto riguarda il trattamento dei disturbi alimentari:
A) Team approach: gli operatori sanitari che si prendono cura di persone con disturbi dell’alimentazione è opportuno che lavorino in team. L’approccio deve essere multidimensionale: deve prevedere interventi sulla sfera biologica, psicologica e sociale (modello bio-psico-sociale); interdisciplinare: il team deve prevedere il coinvolgimento di professionisti di diversi ambiti; multiprofessionale: più professionisti interverranno nella cura. I disturbi dell’alimentazionesono infatti disturbi con manifestazioni psicopatologiche ed un’alta frequenza di complicanze mediche. E’ quindi necessaria una collaborazione tra diverse figure professionali che si occupano in modo integrato di questi diversi aspetti.
B) Setting multipli. A seconda delle condizioni cliniche, i luoghi adatti al trattamento possono essere diversi: ambulatori specialisti privati o pubblici, ambulatori intensivi, day-hospital, centro diurno, residenza psico-riabilitativa, ricovero ospedaliero volontario in strutture mediche e psichiatriche, ricovero in trattamento sanitario obbligatorio psichiatrico. Il trattamento, a seconda delle necessità, può essere svolto in modo più o meno intensivo. Solitamente, salvo controindicazioni, si comincia dal trattamento ambulatoriale. Nei casi molto acuti o in quelli in cui il trattamento ambulatoriale non ha funzionato dovrà essere preso in considerazione un trattamento più intensivo, come il trattamento semi-residenziale in day-hospital o il trattamento residenziale. La presenza di complicanze mediche può richiedere un ricovero in regime ospedaliero. Questi ricoveri hanno lo scopo di curare o evitare il pericolo di gravi complicanze ma non sono di solito di per sé sufficienti a ristabilire un peso corporeo adeguato. Possono avvalersi di nutrizione tramite sondino naso-gastrico o per via parenterale, a seconda delle necessità e dei tempi. La scelta di svolgere un programma terapeutico in regime di ricovero in strutture ospedaliere o in strutture specialistiche a carattere riabilitativo viene operata quando sono presenti i seguenti criteri: grave o rapida perdita di peso, complicanze mediche, vomito ed uso improprio di farmaci, multi-impulsività, comportamenti autoaggressivi, elevato rischio suicidario, elevata comorbilità psichiatrica (asse I e II), elevata conflittualità o scarso sostegno familiare, mancata risposta al trattamento ambulatoriale, lunga durata di malattia e fallimento precedenti trattamenti. Le tappe fondamentali del trattamento nei disturbi dell’alimentazione sono riassunte dalle linee guida dell’American Psychiatric Association: diagnosticare e trattare le complicanze mediche; aumentare la motivazione e la collaborazione al trattamento; aumentare il peso corporeo; ristabilire un’alimentazione adeguata; affrontare gli aspetti sintomatologici, correggere i pensieri e gli atteggiamenti patologici riguardo al cibo; curare i disturbi psichiatrici associati al disturbo dell’alimentazione; cercare la collaborazione e fornire sostegno ed informazioni ai familiari; aumentare il livello di autostima; prevenire le ricadute.
5. Come curare il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo con la terapia psicologica
Solitamente, le persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione, hanno scarsa consapevolezza del problema. Molti studi dimostrano che solo una minoranza di soggetti che presentano tale disturbo chiede un aiuto terapeutico. Inoltre, non sempre le persone che giungono nei centri specialistici hanno già maturato una vera e propria decisione di voler intraprendere una terapia. In molti casi si arriva con una motivazione estrinseca, ovvero arrivano perché inviati da qualcun altro (ad esempio un familiare) e non perché è presente una reale intenzione a coinvolgersi in un lavoro terapeutico. In questi casi, il primo passo è attivare un “percorso motivazionale” ovvero un percorso psicologico che ha lo scopo di condurre la persona a riflettere sulla sua situazione e che lo possa aiutare a: riconoscere di avere un disagio (consapevolezza), sentire che la situazione crea sofferenza, credere nella possibilità di cambiare (senso di efficacia).
6. CBT per il disturbo restrittivo dell’assunzione di cibo
Il modello cognitivo-comportamentale considera come principale responsabile degli atteggiamenti e dei comportamenti alimentari patologici, la presenza di pensieri disfunzionali distorti sul cibo e sul proprio corpo. I comportamenti come la restrizione o l’evitamento del cibo contribuiscono al mantenimento dei pensieri disfunzionali. Nella terapia cognitivo-comportamentale vengono presi in considerazione sia i comportamenti alimentari disfunzionali che lo stile cognitivo adottato.
Solitamente la prima parte del trattamento riguarda la psicoeducazione, vengono date al paziente informazioni sul disturbo, lo scopo è la riduzione di comportamenti disfunzionali. In una fase successiva, l’obbiettivo è quello di migliorare la qualità e la quantità dell’alimentazione, di riconoscere le situazioni a rischio. Successivamente vengono consolidati i risultati ottenuti e viene affrontata la tematica della prevenzione delle ricadute. Una tecnica molto utilizzata in questo approccio è l’uso del diario alimentare, all’interno del quale vengono registrate dal paziente modalità e quantità dell’alimentazione, che vengono analizzate e discusse con il terapeuta, insieme alle emozioni e ai pensieri legate al cibo. Grazie al diario alimentare, i pazienti imparano a riconoscere e ad evitare le situazioni ed i comportamenti a rischio. Oltre alla gestione dei sintomi, la terapia cognitivo-comportamentale prevede di affrontare problematiche come difficoltà familiari e relazionali, lo sviluppo di una fragile autostima e le possibili cause alla base del disturbo. La terapia cognitivo-comportamentale può essere individuale o di gruppo. Il senso di vergogna, le difficoltà interpersonali, l’isolamento e la bassa autostima portano il soggetto ad aumentare i sensi di colpa e il senso di inadeguatezza. Il gruppo può diventare un luogo di confronto in cui sentirsi accolti ed ascoltati. Diversi studi hanno sottolineato l’efficacia di tali trattamenti sull’evoluzione dei sintomi e sul miglioramento del quadro psicopatologico.
7. Terapia psicodinamica per il disturbo restrittivo dell’assunzione di cibo
Secondo l’approccio psicodinamico, i sintomi sono l’espressione di conflitti inconsci. Risulta fondamentale aiutare il paziente a riconoscere e a definire le dinamiche del suo mondo interno. Con i pazienti che soffrono di tale disturbo, è necessario un progetto terapeutico che vada al di là della sintomatologia, un intervento che si focalizzi sulla personalità del paziente e non che miri solo alla riduzione del sintomo. Il cibo rappresenta un linguaggio e bisogna cogliere il significato simbolico oltre a quello manifesto. Durante il percorso terapeutico è importante evitare un eccessivo investimento nel cercare di cambiare il comportamento alimentare, il paziente vede nei suoi comportamenti disfunzionali una soluzione ai suoi conflitti interiori, definirlo come un problema sarà solo da ostacolo all’instaurarsi dell’alleanza terapeutica. Il terapeuta dovrà essere in grado di indagare altre aree di trasformabilità e valutare le risorse che il paziente ha a disposizione. Nel trattamento del disturbo, i clinici concordano nel ritenere che gli obiettivi terapeutici non debbano focalizzarsi solo sull’aumento di peso. Ovviamente, una prima fase di ripresa dell’alimentazione può essere necessaria per procedere con gli altri obiettivi del percorso terapeutico. In una prima fase della terapia risulta essenziale accogliere l’analizzato senza farlo sentire invaso. Un approccio empatico, supportivo, che ha come obiettivo quello di fortificare l’Io faciliterà l’introiezione dello psicoterapeuta come oggetto buono. Nel trattamento in gruppo gli analizzati e/o i genitori condividono lo spazio terapeutico sotto la supervisione di uno psicoterapeuta. Il lavoro di gruppo, si fonda sulla possibilità di condivisione del disturbo alimentare come espressione del malessere interiore. La terapia di gruppo, per i pazienti, oltre che un’occasione di apprendimento e cambiamento, è una possibilità di sperimentare emozioni specifiche e poco riconosciute. Il gruppo ha la funzione di facilitare funzioni trasformative, dando vita ad esperienze tollerabili e non minacciose, consente di alleviare aspetti di sé non elaborati, attraverso un gioco di somiglianze e differenze volte alla scoperta di sé e dell’altro. Inoltre, l’omogeneità del vissuto svolge una funzione di contenimento.
8. Terapia familiare per il disturbo restrittivo dell’assunzione di cibo
Stimolare nei genitori risposte più adeguate ai bisogni del figlio costituisce un supporto importante al percorso individuale del soggetto con disturbo alimentare e consente anche di stabilire un rapporto di maggiore collaborazione con la famiglia. E’ importante che gli obiettivi del trattamento siano condivisi e compresi da tutti i membri della famiglia e che tutti possano sapere quale possibile ruolo possono avere per contribuire al successo del trattamento. In questo senso, la terapia familiare può aiutare i genitori a comprendere meglio gli aspetti patologici del comportamento del membro della famiglia. Esistono diversi tipi di tecniche e approcci alla famiglia. L’approccio psicoeducazionale prevede di fornire informazioni sui disturbi dell’alimentazione e sui loro trattamenti allo scopo di migliorare la conoscenza relativamente ai comportamenti disfunzionali messi in atto e di stimolare una collaborazione al trattamento. Può essere fatto con famiglie individuali o in gruppi di famiglie. L’approccio familiare-sistemico in cui viene vista tutta la famiglia allo scopo di migliorare la comunicazione familiare, l’approccio individuale in cui viene vista la coppia o un genitore soltanto anche allo scopo di sostegno psicologico. L’approccio di gruppo in cui partecipano più coppie di genitori stimola la possibilità di comprendere maggiormente alcuni aspetti legati ai comportamenti sintomatici dei propri figli attraverso l’utilizzo di risorse collettive, il confronto e la condivisione dei vissuti.
Conclusioni
In conclusione, con l’introduzione del DSM-5, nella sezione “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione” il manuale elenca sei categorie diagnostiche principali, tra cui il Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo e indica i criteri che, secondo l’American Psychiatric Association, devono essere soddisfatti per poter applicare le varie diagnosi. Nel primo paragrafo si evince che la caratteristica diagnostica principale del disturbo è l’evitamento o la restrizione nell’assunzione di cibo manifestati da un’incapacità nel soddisfare i requisiti per la nutrizione oppure da un apporto energetico insufficiente attraverso l’assunzione orale di cibo. Nel secondo paragrafo vengono elencati i sintomi tipici di tale disturbo: un’importante perdita di peso, significativo deficit nutrizionale, dipendenza dall’alimentazione parenterale o da supplementi nutrizionali orali o una marcata interferenza con il funzionamento psicosociale. Nel terzo paragrafo si evince che la causa del disturbo non è ben conosciuta ma i fattori scatenanti la manifestazione possono comprendere fattori temperamentali, ambientali, genetici, fisiologici e psicosociali. Per quanto riguarda le modalità o le strategie per affrontare tale disturbo, studi dimostrano che l’approccio migliore è quello che prevede il coinvolgimento di più professionisti. Nel quinto ed ultimo paragrafo, viene descritto come curare il disturbo restrittivo di cibo con la terapia psicologica. Il modello cognitivo-comportamentale considera come principale responsabile degli atteggiamenti e dei comportamenti alimentari patologici la presenza di pensieri disfunzionali, distorti sul cibo e sul proprio corpo. Secondo l’approccio psicodinamico, i sintomi sono l’espressione di conflitti inconsci. Obiettivo fondamentale è l’analisi e la risoluzione dei conflitti interiori e delle problematiche interpersonali. Per quanto riguarda la terapia familiare, diversi studi ne suggeriscono l’utilità. L’ascolto alla famiglia, renderà possibile l’accesso a questioni che potrebbero contribuire al mantenimento del sintomo.
In conclusione, le linee guida nazionali ed internazionali sono in accordo su due principi generali per quanto riguarda il trattamento dei disturbi alimentari:
A) Team approach: gli operatori sanitari che si prendono cura di persone con disturbi dell’alimentazione è opportuno che lavorino in equipe. L’approccio deve essere multidimensionale e interdisciplinare.
B) Setting multipli. A seconda delle condizioni cliniche, i luoghi adatti al trattamento possono essere diversi.
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