Articolo scritto dal Dr. Gabriele Fichera
Spesso, nel pensiero comune, quando si sente parlare di “autolesionismo” lo si ricollega a tentativi di suicidio o al desiderio di togliersi la vita da parte di una persona. In realtà, a livello clinico, un comportamento autolesionista è certamente orientato a procurarsi del dolore fisico, ma non necessariamente con il tentativo di togliersi la vita, quanto piuttosto con l’obiettivo di ottenere qualche tipo di beneficio soggettivo attraverso il dolore fisico. All’interno dell’articolo, infatti, verrà trattato questo delicato tema facendo riferimento ad aspetti patologici, sintomatologia e cause, al fine di poter fare chiarezza su questa problematica e su quelli che sono possibili piani di trattamento.
1. Cos’è l’autolesionismo?
Il DSM-5 definisce “l’autolesionismo non suicidario” come una serie di atti intenzionalmente autolesivi sul proprio corpo condotti per almeno 5 giorni in un anno. Le persone affette da questo disturbo tendono a provocare danni al proprio corpo in vari modi, di cui i più comuni sono: spegnersi le sigarette addosso, procurarsi dei tagli con una lama, sbattere la testa contro il muro, strapparsi i capelli. Il soggetto autolesionista si pone l’obiettivo di riuscire a provocare una sensazione positiva di liberazione attraverso tali comportamenti, o talvolta spera di mettere a tacere la propria angoscia concentrandosi sul dolore fisico più che su quello emotivo.
A mettere in atto tali comportamenti sono soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti mentre è meno presente nella popolazione adulta. L’autolesionismo è spesso associato a problematiche di ansia, stress, abuso di sostanze, disturbo borderline, disturbi della condotta, disturbi alimentari o disturbo bipolare, isolamento sociale e dinamiche familiari disfunzionali.
Sono state identificate 3 forme di autolesionismo:
- Autolesionismo maggiore: atti frequenti e isolati che provocano un danneggiamento ai tessuti in modo duraturo. Ne possono essere affetti, ad esempio, i soggetti con patologia psicotica e perdita di contatto con la realtà.
- Autolesionismo stereotipico: comportamenti che si ripetono in modo continuativo e costante da parte del soggetto che lo compie senza comprenderne il significato. Questo accade nelle disabilità intellettive, come ad esempio, a ritardo mentale o autismo.
- Autolesionismo moderato: comportamenti episodici oppure più frequenti ma di bassa gravità a livello di danneggiamento dei tessuti corporei. Pertanto comportamenti tipici relativi a bruciature, procurarsi tagli ecc. Tali gesti, in questo caso, hanno invece un significato simbolico e cosciente per il soggettivo che lo compie.
2. Quali sono i sintomi e quali le cause dell’autolesionismo?
I sintomi per una diagnosi di autolesionismo possono essere:
- Aspettativa di ottenere sollievo da un comportamento autolesivo
- Aspettativa di risolvere una problematica di tipo relazionale, quindi nella relazione con altri soggetti
- Frequenti pensieri autolesivi
- Preoccupazione costante e incontrollabile per il gesto
- Frequenti pensieri e sensazioni di disagio emotivo precedenti al gesto
Oltre a identificare i sintomi che possono orientarci nella comprensione e identificazione di una problematica di autolesionismo, è importante mettere in luce anche quelle che sono le cause che conducono il soggetto a questi gesti. Ogni persona, infatti, può utilizzare il comportamento autolesivo per uno scopo ben preciso. Spesso focalizzare l’attenzione sul dolore fisico può essere un modo per sopravvivere al senso di vuoto e riconnettersi alla realtà, per riuscire a sentire di nuovo qualcosa di significativo. Altre volte, invece, si compie un atto di autolesionismo per punirsi di qualcosa che genera un profondo senso di colpa di cui non riusciamo a liberarci. Un’ulteriore causa dell’autolesionismo può essere rintracciata nel tentativo di attirare l’attenzione su di sé e segnalare alle persone intorno a noi il nostro disagio, la nostra solitudine, il nostro grido d’aiuto.
3. Psicoterapia per la cura dell’autolesionismo
L’autolesionismo è un comportamento complesso che può avere diverse cause sottostanti, tra cui traumi, disturbi dell’umore, problemi di relazione, disturbi di personalità e altro ancora. La psicoterapia evidence-based per la cura dell’autolesionismo dipende quindi dalle cause specifiche del comportamento autolesionistico, che devono essere identificate durante la valutazione iniziale del paziente.
Ci sono diverse modalità di psicoterapia che possono essere utilizzate per la cura dell’autolesionismo, alcune delle quali includono:
- Terapia cognitivo-comportamentale (TCC): La TCC può essere utilizzata per aiutare i pazienti a identificare i pensieri e i comportamenti che precedono l’autolesionismo e sostituirli con modelli di pensiero e comportamenti più positivi. Può anche essere utilizzata per insegnare ai pazienti tecniche di gestione dello stress e per aiutare a rafforzare le abilità di comunicazione e risoluzione dei problemi.
- Terapia dialettico-comportamentale (DBT): La DBT è stata sviluppata specificamente per il trattamento dei disturbi di personalità borderline, che spesso presentano autolesionismo. La DBT si concentra sulla regolazione delle emozioni, sull’accettazione di sé e sul miglioramento della relazione con gli altri.
- Terapia basata sull’attaccamento: La terapia basata sull’attaccamento si concentra sulla comprensione e sul miglioramento delle relazioni tra il paziente e le figure di attaccamento, che possono essere importanti nel determinare i comportamenti autolesionistici.
- Terapia psicodinamica: La terapia psicodinamica può aiutare i pazienti a esplorare i motivi inconsci dei loro comportamenti autolesionistici e ad affrontare i conflitti emotivi sottostanti.
È importante sottolineare che la terapia dovrebbe essere adattata alle esigenze specifiche del paziente e che i risultati possono variare a seconda dei casi. Inoltre, la terapia dovrebbe essere combinata con altre forme di trattamento, come la farmacoterapia, se necessario.
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