Da “La vita Bugiarda Degli Adulti” Alla Ricerca Della Verità Su di Sé

Da La vita bugiarda degli adulti alla ricerca della verità su di sé. una chiave interpretativa del romanzo di Elena Ferrante

Articolo scritto dalla Dr.ssa Sara Spallucci

Si dice che la malizia è negli occhi di chi guarda, ma è attraverso gli occhi che ci guardano che finiamo per guardare noi stessi. Sono quegli stessi occhi che prendiamo in prestito da altri che ci restano incollati addosso. Gli altri che guardano ma non vedono e il cui giudizio diventa una condanna a morte di quella parte di noi che vorrebbe vedere la luce e, invece, si rintana a causa delle parole che ha ascoltato.

“Due anni prima di andarsene di casa mio padre disse a mia madre che ero molto brutta. La frase fu pronunciata sottovoce, nell’appartamento che, appena sposati, i miei genitori avevano acquistato al Rione Alto, in cima a San Giacomo dei Capri. Tutto – gli spazi di Napoli, la luce blu di un febbraio gelido, quelle parole – è rimasto fermo. Io invece sono scivolata via e continuo a scivolare anche adesso, dentro queste righe che vogliono darmi una storia mentre in effetti non sono niente, niente di mio, niente che sia davvero cominciato o sia davvero arrivato a compimento: solo un garbuglio che nessuno, nemmeno chi in questo momento sta scrivendo, sa se contiene il filo giusto di un racconto o è soltanto un dolore arruffato, senza redenzione”. 

Mentre questo succede, Giovanna ha 12 anni e, stranamente, ha lasciato aperta la porta della sua camera giusto il tempo di sentire dalla bocca dell’adorato padre che “L’adolescenza non c’entra” con quella metamorfosi kafkiana.  Giovanna “Sta facendo la faccia di Vittoria” ovvero di colei “nella quale combaciavano alla perfezione la bruttezza e la malvagità”, “un essere mostruoso che macchia e infetta chiunque sfiori”. 

Il passato sembra ritornare negli occhi e nel volto di una bambina che sta mutando il suo aspetto fisico e che fatica a riconoscere come proprio perché sta perdendo i connotati rassicuranti che l’hanno da sempre fatta sentire amata e apprezzata dai genitori. In quelle grinze del cambiamento, i genitori e il padre in particolare, sentono riaffiorare l’essenza di quanto avevano cercato per lungo tempo di mettere al bando dalla loro di vita per ripulirla di quelle imperfezioni e volgarità che hanno sempre detestato delle loro origini. Imperfezioni e volgarità che tornano sotto mentite spoglie ad alterare il disegno di vita e famiglia perfetta che avevano progettato che, invece, si sgretola giorno dopo giorno contro la propria volontà. 

Nello stesso modo scivolano le certezze di Giovanna su se stessa. L’unico modo per tentare di ancorarsi a questa nuova realtà in frantumi è quella di cercare uno specchio per guardarsi in faccia e ritrovare i connotati di una nuova identità, per quanto brutta e deprecabile possa essere.

Tutto quello che riesce a trovare è zia Vittoria, “col viso senza trucco” e “di una bellezza così insopportabile che considerarla brutta diventava una necessità”. Scopre così che dietro la millantata bruttezza c’è solo il volto di chi è stato privato dell’affetto e della stima delle persone perché il proprio modo d’essere non è stato reputato perfettamente in sintonia con “i canoni” che la società ha dettato per quelli di “alto borgo”, quelli che vivono ai piani alti e che trovano in queste dimensioni l’essenza della propria identità. 

È questa la drammatica overture dell’età puberale di Giovanna che spazza via tutti gli assiomi della  sicurezza fino a quel momento goduta lasciando solo incognite da collocare entro un campo di esistenza, ed è  questo l’incipit da cui prende le mosse la storia di questa famiglia simile a molte altre  che ciascuno di noi ha conosciuto o in cui è cresciuto.

All’interno di questa casa, tutti hanno sentito il bisogno di celare la verità su se stessi e, nel raccontare la versione migliore di sé, hanno mentito consegnando nelle mani di Giovanna, non ancora adulta ma neppure una bambina, la scelta se accettare il testimone della lunga staffetta di menzogne o spezzare le catene della spirale attraverso la ricerca della verità, la verità su se stessa, sul resto della sua famiglia, così come quella sul resto del mondo, soprattutto sul complesso mondo delle relazioni.

La forza del romanzo di Elena Ferrante si inscrive nella sua capacità di fare emergere la potenza che l’essere umano può esprimere nel ribellarsi ad un destino già segnato e nella determinazione che deve farsi strada nel cercare la propria identità come unico strumento di salvezza per stare al mondo e trovare la propria dimensione autentica e vera a dispetto di quella bugiarda degli adulti.

È così che fa Giovanna: si mette sulle tracce di quanto è stato relegato e confinato lontano dagli occhi del mondo, o almeno quelli di Rione alto, arriva a suonare il campanello di una casa costruita nel tufo della Zona Industriale di Napoli, e da lì inizia a fare la spola tra l’alto e il basso, tra la bellezza e l’oscenità, tra il bon ton e la volgarità..tutte facce della stessa medaglia.  

L’intento che muove il suo piano è quello di ricercare i pezzi mancanti del puzzle familiare con cui costruire la propria identità, imparando ad osservare la realtà attraverso i buchi lasciati nella trama delle bugie che ha ascoltato. 

La ricerca della verità porta Giovanna a capire che ciò che viene disprezzato e appellato come “brutto” altro non è che il volto delle cose che ci spaventano, perché sentiamo che quelle brutture potevano o possono appartenerci. 

Attraverso le pagine di questo libro ciascuno di noi può sentire risuonare quanto sferzanti siano i “non detti” all’interno dei legami familiari e quanto ingombrante sia per i figli la storia dei propri genitori, soprattutto se di quella storia si sono perse le tracce. 

Stai attraversando un momento difficile? Prenota una sessione e inizia ora a risolvere i tuoi problemi, attraverso l’aiuto della Dr.ssa Sara Spallucci.

I nostri link preferiti