Articolo scritto dalla Dr.ssa Mariagiada Angiolelli
1. “Fare carriera”: una lettura psicologica
Dando uno sguardo al presente in cui viviamo, sono molti gli uomini e le donne che fanno della “carriera” più che uno stile di vita, un vero e proprio obiettivo unico e irrinunciabile.
Secondo la psicologia, il lavoro risponde a molti e fondamentali bisogni psicologici, che non hanno solamente a che vedere con la questione economica, ma che riguardano più aspetti come il bisogno di avere relazioni soddisfacenti, il sentirsi realizzati, capaci, autonomi e in potere. Rogers parlava di auto-realizzazione come mantenimento e crescita dell’organismo.
Il lavoro è un aspetto molto importante su cui fondare la propria personalità poiché è anche lo specchio di sé e di ciò che nella vita si sa fare e di cosa si può apportare nella società e nel vivere comune, essendo noi umani appunto esseri sociali.
Per avere successo però, la psicologia ci dice che bisogna avere intelligenza emotiva ovvero la capacità di riconoscere le proprie e altrui emozioni e di saperle gestire, infatti questa capacità, secondo uno studio condotto dall’Università diYale è per l’80 % alla base del successo delle persone, con il restante 20 % dovuto alle capacità intellettive e alla fortuna.
Le emozioni sono esperienze che facciamo durante tutto l’arco della giornata, e queste influenzano il modo in cui ci rapportiamo agli altri, non è possibile pensare di raggiungere il successo stando chiusi perennemente nel proprio ufficio o non partecipando attivamente alla vita sociale. Le persone con più successo infatti, sono anche quelle persone che solitamente hanno delle buone interazioni sia con i colleghi che nella loro vita personale.
Secondo lo psichiatra Srini Pillay, autore del libro “il potere del cazzeggio” avere delle distrazioni dal lavoro è ciò che permette di poter avere successo, in quanto le distrazioni consentono al cervello di ricaricarsi e ritornare con più energia e idee. Per raggiungere gli obiettivi è necessario alternare la concentrazione a quello che l’autore chiama “cazzeggio”. Questo perché, scientificamente, il cervello produce un’attività elettrica sotto forma di onde Beta (legate alla concentrazione ) e onde Gamma (legate alla disattenzione) che sono alla base del “ritmo cognitivo” , ovvero quello “spazio”di cui il cervello ha bisogno per continuare a fare il suo lavoro senza rischiare di cadere in uno stato di esaurimento con ripercussioni fisiche e mentali.
Ciò che accade sempre più spesso, però, è che concentrandosi troppo sul lavoro e sulla professione, si perda di vista altre fondamentali aree della propria vita, aree importantissime per sentirsi pienamente soddisfatti e felici.
Il troppo lavoro a volte può allontanare la persona da altri importantissimi fattori necessari per una buona qualità di vita o al contrario può essere usato come scusa o distrazione da bisogni profondi relazionali insoddisfatti.
È ammirevole voler raggiungere una posizione economica, di potere e di riconoscimento all’interno della società, quello che però bisogna ricordarsi di fare, è evitare di trascurare gli scopi fondamentali dell’essere umano, in quanto per dirsi pienamente soddisfatti è necessario integrare tutti gli aspetti della propria vita.
2. I tre scopi fondamentali della vita di una persona
Vi sono degli scopi innati nell’essere umano che derivano direttamente dalla conformazione del nostro cervello: in quanto esseri viventi condividiamo con gli animali tra cui i rettili, una struttura cerebrale ma a differenza dei rettili, possediamo il “sistema limbico”, il quale è responsabile delle reazioni emotive, delle risposte comportamentali, della memoria, dell’apprendimento, della percezione del tempo, dei meccanismi di motivazione e ricompensa, del senso di gratificazione e anche dei bisogni relazionali.
Non essendo rettili, abbiamo quindi bisogno di relazioni sociali, il nostro Io infatti si costruisce nella relazione e dalla relazione prende nutrimento.
Questi scopi fondamentali sono quindi :
– Scopi rettiliani: alla base della sopravvivenza, hanno a che fare col territorio, con il mantenersi in vita, con il possedere uno spazio in cui vivere, con la difesa e la predazione.
– Scopi del sistema motivazionale: alla base della sopravvivenza del gruppo primario, hanno a che fare con l’attaccamento e le relazioni inclusa l’appartenenza, l’affetto, la stima e l’amore.
– Scopi di auto-realizzazione: alla base della sopravvivenza del gruppo allargato, hanno a che fare con il riconoscimento, l’accettazione, la creatività, la moralità e il problem solving.
3. La vita piena
Per vivere quindi quella che viene definita una “vita piena” è necessario raggiungere questi tre scopi fondamentali avendo un progetto di vita. Per “progetto di vita” si intende un muoversi in maniera coerente con i nostri valori e le nostre risorse interiori per ottenere più che dei risultati un vero e proprio profilo della propria identità e dello scopo che ci siamo prefissati di ottenere rispondendo non solo ai bisogni di sopravvivenza e auto-realizzazione ma anche a quelli del sistema limbico. Per far ciò è necessario raggiungere un allineamento tra ciò che sentiamo, ciò che pensiamo e ciò che facciamo, e questo lo si ottiene prestando attenzione a cosa ci accade momento dopo momento nel qui ed ora.
I bisogni cambiano continuamente, poiché veniamo costantemente in contatto con il mondo esterno il quale stimola in noi qualcosa, e un nostro compito fondamentale è rispondere a quegli stimoli senza evitarli o al contrario facendocene carico completamente.
Vivere una vita piena è riconoscere che ci si muove costantemente in un equilibrio precario, con la consapevolezza di avere tutte le risorse necessarie per farcela e per fare delle deviazioni anche momentanee dal percorso.
4. Come integrare queste aree e questi aspetti fondamentali?
Quando si dedica tutto il proprio tempo al lavoro trascurando la famiglia, le amicizie, gli hobby, il divertimento e la relazione sentimentale, capita che si inizi a soffocare quella parte essenziale che ci rende umani, quella parte incommensurabile che ci riscalda nei momenti luminosi e bui che la vita riserva a tutti.
Vivere per il lavoro, o utilizzare questo come rifugio da probabili sofferenze a lungo andare può provocare sofferenza psicologica ed emotiva oltre che ad un isolamento nel quale in termini biologici non siamo portati a vivere.
A volte, pur riconoscendo di star vivendo questa situazione, molte persone non sanno come fare a modificare delle abitudini che sono diventate ormai disfunzionali, il mio consiglio è quello di scrivere un diario a fine giornata in cui appuntarsi i tre scopi fondamentali e compilare scrivendo le attività che si sono effettuate secondo l’area di riferimento, notando quali di queste appare più scarna e provvedere a fare qualcosa di diverso per riempire quegli spazi vuoti o poco pieni.
Non sempre questa strategia può essere esaustiva, a volte c’è bisogno di un vero e proprio intervento di psicoterapia per individuare eventuali blocchi o difficoltà per poi avviare un piano di intervento mirato.
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