“Dov’è il mio corpo?”: Perdersi Per poi Ritrovarsi

Dov'è il mio corpo perdersi per poi ritrovarsi_ Martina Di Dio

Articolo scritto dalla Dr.ssa Martina Di Dio

1. La trama

Jérémy Clapin nel suo film di animazione “Dov’è il mio corpo?” racconta con delicatezza e malinconia la storia di un giovane ragazzo che durante il corso della vita si perde, perdendo di vista la propria felicità e realizzazione e che, così facendo, perde “parti di sé”. 

La protagonista di questa storia, infatti, non è la persona in tutta la sua interezza, ma una mano mozzata che decide di fuggire da un istituto di medicina legale per ritrovare il proprio corpo, quello di Naoufel, un giovane di origine magrebina che è costretto dagli eventi a cambiare città e a mettere da parte il suo sogno di diventare pianista o astronauta. 

Il film scorre attraverso flashback continui alternando addirittura tre piani narrativi che ci aiutano a ripercorrere la vita di Naoufel: il presente, il suo passato prossimo e quello più antico. 

Seguendo la linea temporale del presente, Naoufel lavora come fattorino nei sobborghi parigini e un giorno che sembrava proprio come tutti gli altri incontra Gabrielle, una ragazza di cui si innamora. Contemporaneamente abbiamo la mano mozzata che attraversa la città dovendo affrontare sfide continue (topi nella metropolitana, cani a spasso nei giardini…) per ricongiungersi con il proprio corpo. 

Mentre assistiamo a questo viaggio di ricongiungimento del corpo il regista con l’aiuto una potente colonna sonora (Dan Levy) ci guida tra i ricordi di Naoufel. Il ricordo ha un valore fondamentale nel film: la mano che adesso è divisa dal suo corpo è la stessa che da piccolo teneva un microfono per registrare su cassette i suoni del mondo intorno a sé. E sono proprio i ricordi che consentono alla mano mozzata di vagare con una meta precisa. 

2. Cosa rappresenta la mosca?

Durante il corso del film allo spettatore vengono presentati flashback fino ad arrivare all’evento traumatico che segna la vita di Naufel. Questo ci permette di comprendere il velo di tristezza e di impotenza che copre il viso del ragazzo.

Un trauma è un evento inaspettato, come una bomba che esplode nella vita di una persona che lascia il “sibilo” fastidioso dopo il boato, un rumore di fondo che non permette di vivere pienamente il tempo presente. Questa sensazione, difficilmente spiegabile a parole, nel film è rappresentata dalla mosca che ripetutamente si affaccia in varie scene del film e che in un certo senso accompagna Naufel, così come lo spettatore, irrompendo fastidiosamente nella quotidianità: il protagonista vorrebbe eliminarla ma questo non è possibile. 

La mosca ci parla di quello che nella Psicologia della Gestalt è il concetto di “affare inconcluso”. Alcuni eventi, in particolare eventi vissuti come traumatici, creano un’importante reazione emotiva di dolore, terrore e senso di caos. In risposta a questo terremoto emotivo l’individuo cerca, con gli strumenti e le risorse che ha in quel momento, di andare avanti e di sopravvivere ma senza darsi il tempo di elaborare l’evento, lasciando “irrisolta” quella determinata situazione. La conseguenza di ciò è spesso una tensione psicologica e là dove queste interruzioni diventano croniche e/o opprimenti vi è un’interferenza con i comportamenti, le percezioni e i pensieri non lasciandoci la libertà di funzionare efficacemente nel “qui e ora”. 

3. La saggezza del nostro corpo

La mano mozzata ha una propria intelligenza, intuito, istinto di sopravvivenza… prova emozioni

Andando contro una fede nella supremazia della mente questo film ci offre una visione ben diversa: 

ogni parte del nostro corpo “ricorda”, e rimangono tracce di memoria che parlano di noi e della nostra storia, dei nostri ricordi più intimi. 

Proprio come il registratore utilizzato da Naoufel le nostre cellule registrano tutte le emozioni vissute e le difese contro queste memorie emotive vanno a finire nei nostri muscoli e nei nostri organi. 

Il trauma ci fa rimanere agganciati ad un tempo passato e così anche il corpo si frammenta in pezzi scomposti che vivono tempi differenti. 

L’attenzione sul corpo che sente con tutti i sensi è quindi una tappa fondamentale verso l’integrazione di tutte le parti di noi che abbiamo rimosso e poter finalmente rilasciare un’energia più libera. 

Secondo l’approccio psicoterapeutico della Gestalt ognuno di noi ha una tendenza naturale e organismica verso il benessere e l’equilibrio. Ma un’autoregolazione efficiente presuppone una libertà di movimento dell’organismo e una certa consapevolezza di quali sono i nostri reali bisogni. Ma come facciamo ad essere liberi e consapevoli? Nel percorso di terapia questo obiettivo ultimo è raggiungibile solo se ci diamo il diritto di integrare tutte le parti del nostro corpo “mancanti”: dando voce alle tensioni che sentiamo, passo dopo passo ci diamo il diritto di esprimere le emozioni che vi sono annidate. Solo così è possibile raggiungere una consapevolezza sensoriale, sapere di cosa abbiamo bisogno, agire in funzione del suo raggiungimento ed eliminare ciò che non è sano per il nostro organismo. 

4. La responsabilità della scelta

“Dov’è il mio corpo?” è in un certo senso un “romanzo di formazione”. Il giovane protagonista che per molti anni si fa trascinare dalla corrente degli eventi, ad un certo punto sceglie di fare qualcosa di diverso: proprio quando la vita riconferma la presenza di un triste destino decide di fare un “salto” e lasciarsi alle spalle una vita già scritta, fatta di frustrazione e immobilità: decide finalmente per sé stesso e per la propria felicità!

Naoufel: Tu ci credi al destino?

Gabrielle: Che tutto si già stato scritto? Che tutto sia prestabilito?

Naoufel: Forse pensiamo di poter cambiare tutto, ma è solo un’illusione. A meno che…non commettiamo un atto irrazionale e spezziamo l’incantesimo per sempre. Tipo, non saprei, qualsiasi cosa! Te ne vai in giro tranquillo, stai andando da una parte e fai una finta, un dribbling, una deviazione. E oplà! Un gesto improvviso, che in teoria non avresti dovuto fare ma che hai fatto bene a fare perché adesso sei altrove, e non te ne penti. Qualcosa del genere.

Gabrielle: E poi? Una volta che hai dribblato il destino che fai?

Naoufel: (…) Corri ad occhi chiusi e incroci le dita. 

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