Articolo scritto dalla Dr.ssa Miryam Pinnella
1. Cos’è l’emetofobia?
La parola Emetofobia deriva dal greco ἔμετος = émetos, ossia vomito, e φόβος = phóbos, ossia paura; per emetofobia si intende una paura irrazionale e incontrollabile verso il vomito e nei confronti di tutto ciò che ne è collegato, come i suoni dei conati o la nausea.
Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5), edito dall’American Psychiatric Associaton – quinta edizione, classifica l’emetofobia come fobia specifica per il vomito.
Un individuo emetofobico teme di compiere l’atto di rimettere e circa un terzo degli individui affetti dal disturbo teme sia di vomitare, sia di vedere altre persone farlo. In questo ultimo caso, la paura che altri vomitino può essere dovuta all’esposizione al vomito stesso o alla paura di essere condizionati dal vedere altre persone che vomitano.
Per far fronte alla nausea e alla paura di vomitare, gli individui con emetofobia possono sviluppare importanti comportamenti di sicurezza e di evitamento.
Talvolta emerge nell’infanzia e, se non trattata, può cronicizzarsi nel tempo. È possibile che si sviluppi anche in età adulta a seguito di un evento traumatico, talora dopo un’esperienza negativa legata alla salute.
2. Sintomi dell’emetofobia
Numerosi sono i comportamenti concreti che fanno intuire come l’emetofobia può essere invalidante. Tra i più comuni troviamo:
- Terrore di contrarre virus gastrointestinali.
- Ansia e timore di stare male soprattutto in orari serali/notturni.
- Paura di mangiare, soprattutto fuori casa.
- Paura di viaggiare per il sospetto di sentirsi male per cause legate alla cinetosi.
- Timore di star male lontano da casa propria o dai luoghi familiari.
- Paura ad assumere farmaci per i possibili effetti collaterali.
- Paura che un qualsiasi tipo di malattia o malessere possa causare il vomito.
- Paura di bere alcolici.
- Timore del dentista e del calco dentale.
- Paura di trovarsi in situazioni in cui altre persone possono stare male.
- Paura di colpi di freddo a livello gastrointestinale.
- Paura di essere giudicati e sminuiti per la propria paura, spesso incompresa anche dalle persone care .
- Provare fastidio anche di fronte alla semplice vista delle parole vomito o nausea.
- Provare fastidio nel pulire il vomito del proprio animale domestico.
- Senso di colpa per non riuscire a prestare assistenza a persone care che stanno male.
- Molte ragazze emetofobiche temono la gravidanza per la possibilità di stare male.
- Per alcuni, l’effetto traumatico nei confronti del vomito è tale da indurre persino l’incapacità di vestirsi come l’ultima volta in cui si è stati male.
- Difficoltà a vivere momenti di socialità, come la frequenza scolastica o le uscite con amici, per paura di avere un malore o di non potersi isolare in caso di attacco d’ansia.
- Se genitore, un emetofobico potrebbe temere sia di non riuscire a prestare assistenza ai propri figli nel caso in cui stiano male, sia di “veicolare” la fobia ai propri figli.
Per far fronte agli eventi stimolo, gli individui tendono a sviluppare vari comportamenti di sicurezza e di evitamento quali: restrizione alimentare, controllo eccessivo delle date di scadenza dei cibi, lavaggio frequente delle mani, ricerca di rassicurazioni e uso di antiacidi per la riduzione della sensazione di nausea, esposizione a feste o a luoghi in cui si possono incontrare persone ubriache, allontanamento da persone in gravidanza, evitamento di viaggi che richiedono lunghi tragitti e aereo.
La paura e l’evitamento di situazioni che provocano ansia possono creare profonde interruzioni della vita quotidiana, risultando invalidanti, e talvolta croniche. In molti casi le strategie di evitamento finiscono per incrementare le ansie e le paure alla base dei comportamenti stessi.
3. Come superare la paura del vomito
3.1 Terapia cognitivo comportamentale
È possibile superare la paura del vomito grazie all’ausilio di terapie psicologiche.
Il trattamento più indicato per far fronte a questa fobia è la terapia cognitivo comportamentale (TCC), la quale pone il focus sui pensieri e sui processi cognitivi del paziente e su come questi influenzino le credenze che veicolano i comportamenti. La TCC ha lo scopo di interrompere il circolo Cognizione-Credenza-Comportamento del paziente fobico, nella fattispecie emetofobico.
Numerosi sono gli studi riguardanti l’efficacia della TCC nei confronti dell’emetofobia.
3.2 Esposizione
La desensibilizzazione sistematica prevede la sostituzione di una risposta di rilassamento a quella catastrofica causata dall’esposizione a una situazione ansiogena.
L’esposizione graduata si basa su un crescendo di situazioni ansiogene che il terapeuta, anche in accordo col paziente, propone; è possibile iniziare anche solo educando il dominio del pensiero verso il vomito.
L’esposizione enterocettiva prevede di far abituare il paziente alle sensazioni fisiche. Sebbene sia soprattutto utilizzata nel trattamento degli attacchi di panico, uno studio ha indagato sul ruolo dell’esposizione enterocettiva nel trattamento di un paziente affetto da emetofobia.
3.3 EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari)
È un approccio terapeutico che porta il paziente a reinterpretare in maniera razionale un trauma del passato; si basa sulla stimolazione dei movimenti oculari e viene spesso proposta come tecnica per la gestione di un ampio ventaglio di patologie e disturbi, tra cui i disturbi d’ansia e le fobie.
L’emetofobico può diventare tale in seguito ad un evento traumatico relativo al vomito, quindi la EMDR può presentarsi come una soluzione volta a far dissociare l’aspetto traumatico dell’oggetto della propria paura. Lo scopo è quello di far perdere al vomito tutta la carica negativa che lo circonda all’interno della mente di un fobico.
Uno studio ha mostrato come la EMDR sia stata efficace nel diminuire in maniera duratura i sintomi nel caso di una donna emetofobica.
3.4 Mindfulness
Questo approccio terapeutico, nel caso dell’individuo emetofobico, è capace di interrompere lo schema cognitivo, prefigurarsi il peggio, a favore di una interpretazione più razionale del momento presente.
È da sottolineare che una prassi curativa basata solo sui farmaci può risultare inefficiente; per tanto è sempre consigliabile affiancare la terapia farmacologica con un intervento di tipo psicoterapeutico.
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