Articolo scritto dal Dr. Gabriele Fichera
Cari lettori, in questo articolo mi sono proposto di unire la passione per il cinema e la psicologia. Si tratta, infatti, di stimolare ad immergersi nell’atmosfera del celebre film “fight club” e promuovere una riflessione su uno dei possibili significati psicologici di questo film.
Breve trama del film
Fight Club è un celebre film che racconta la storia di un un uomo, chiamato Jack, il cui vissuto emotivo ed esistenziale è caratterizzato da un’estrema solitudine, apatia e monotonia: giornate sempre uguali, assenza di relazioni affettive significative, insonnia, tentativi di far fronte al vuoto interiore attraverso inclinazioni al consumismo e all’acquisto compulsivo di oggetti e articoli da arredamento. La propria vita viene stravolta quando incontra Tyler Durden, persona eccentrica e anticonformista conosciuta durante un viaggio di lavoro. L’incontro con Tyler suscita in Jack ammirazione e conforto, in quanto scorge la possibilità di dare una svolta alla propria vita a partire dalla necessità di mettere in discussione il proprio modo di vivere. Jack, seguendo le bizzarre idee di Tyler, fonda insieme a lui il Fight Club, ovvero un gruppo clandestino di lotte in strada il cui obiettivo principale è quello di sfogare la propria rabbia e frustrazione, verso una società conformista improntata sull’apparenza, attraverso la violenza fisica. In modo silenzioso e pericoloso, lo scopo è quello dell’indottrinamento dei partecipanti alla morale nichilista e distruttiva di Tyler e Jack. Il Fight Club si espande, in seguito, in tutto il mondo e Jack, gradualmente, inizia a prendere coscienza di quanto pericoloso stia diventando questo “gioco” e di quanto esso stia sfociando nella creazione di un vero e proprio esercito clandestino che, inizia dalle lotte sulle strade ma che si trasforma sempre più in veri e propri atti vandalici ai danni di palazzi sedi di banche e corporazioni. All’interno del film compare il personaggio femminile di Marla ha un ruolo chiave per Jack, rappresenta l’unica possibilità di un affetto autentico, una donna che lo mette di fronte alla propria potenziale psicosi; infatti Jack scoprirà che, in realtà, Tyler altro non è che egli stesso, il suo alter ego, la sua seconda personalità che la propria mente si raffigura e proietta davanti a sé: una personalità violenta, rabbiosa e speculare alla propria. Il film si conclude con un confronto tra i due, a livello immaginario in quanto Tyler rappresenta in realtà soltanto un’allucinazione di Jack, che vede quest’ultimo riuscire a scegliere di poter fare a meno di Tyler e riprendere in mano il timone della propria vita, riuscendo a prendere coscienza del proprio malessere sfociato in una potenziale perdita di contatto con la realtà
l’interpretazione psicologica di Jack e la psicosi emergente
Perché parlare di “psicosi emergente”? La psicosi rappresenta la frattura psichica, la mente che, per difendersi dalla percezione minacciosa del mondo, altera l’equilibrio psichico compromettendo l’esame di realtà e creando disturbi del pensiero formale, talvolta allucinazioni visive e uditive. Jack è intrappolato in uno stato emotivo molto sofferente, all’interno del quale non riesce a “restare in contatto con gli altri” e percepire la propria vita come soddisfacente e autentica. Questa condizione di esistenza negativa e passiva genera un forte stato di angoscia e paura. E’ proprio di fronte a questi stati affettivi molto complessi da tollerare che dilaga la psicosi: l’unica soluzione per permettere alla mente di sopravvivere è espellere le parti minacciose della propria identità personale (rabbia, bisogno di vendetta, mancanza di empatia, aggressività, distruttività) le quali vengono proiettate all’esterno nel personaggio di Tyler, il cattivo con idee anarchiche e antisociali che esiste solo in termini di allucinazione visiva e uditiva di Jack, il quale lo vede come “un altro da Sé”. Tyler, infatti, non a caso rappresenta l’insieme di tutti i modi nei quali il protagonista Jack avrebbe voluto essere ma non è mai riuscito a farlo. Generalmente, la psicosi non è solo un disturbo, ma una vera e propria “organizzazione di personalità”, ovvero un modo psicopatologico di funzionare ed esistere nel rapporto con se stessi e con il mondo. La parte sana di Jack è proprio il soggetto che soffre la solitudine, che non ha una relazione significativa, che patisce l’aver avuto un padre distante e anaffettivo (come esplicita durante il dialogo con il suo alter ego). Per lui è molto difficile restare in contatto con il proprio dolore e le proprie difficoltà, sebbene durante il film riesce a poco a poco a capire che non sta bene e che è importante prenderne atto per poter fronteggiare la situazione.
Riappropriarsi della parte sana di sé
Quando si perde il contatto con la realtà (come accade a Jack) e si ha una manifestazione psicotica della realtà emotiva interiore, è complesso e per nulla facile riuscire a riprendere il timone della propria vita senza una vera e propria rete di sostegno psicologico e psichiatrico (in termini di sostegno psicofarmacologico) ed è importante rivolgendosi agli esperti della salute mentale. Fight Club resta un film, e come tutti i film è solo un’approssimazione della realtà quotidiana dal punto di vista del regista. Qual è il movente che spinge il protagonista a “lottare” contro la propria parte del Sé disfunzionale? Le risposte sono molte, ma un’osservazione personale è centrata sull’importanza di Marla e su quanto sia stato importante per Jack condividere con lei quello che stava accadendo all’interno del proprio mondo psichico. A partire dalla condivisione di stati affettivi, Jack si rende conto, inconsciamente, che può lavorare su se stesso e sulle proprie difficoltà e inizia a riflettere sulla gravità di queste lotte clandestine, sul vuoto emotivo che lo ha spinto al desiderio di lasciare un’impronta personale anche a costo di distruggere l’umanità attraverso atti terroristici. Quel senso di vuoto è il riflesso della mancanza di vitalità che sente verso la propria esistenza, così triste e miserabile. Metaforicamente, uccidere Tyler vuol dire diventare di nuovo un unico “Sé”, un unico individuo, non più frammentato, seppur con tante sfumature e tanti aspetti della propria personalità. Ma soprattutto, vuol dire dare voce alle proprie sofferenze e iniziare ad occuparsi di sé e del proprio benessere mentale.
La trama narrativa di questo film, può indurre a riflettere su quanto sia pericoloso trascurare le proprie mancanze e condurre una vita che non ci soddisfa e di cui non percepiamo il senso. È solo uno spunto per indurre le persone che soffrono a dare una svolta alla propria esistenza, talvolta a chiedere aiuto agli esperti e, pertanto, a non isolarsi nell’oblio dell’angoscia e della solitudine.