Articolo scritto dalla Dr.ssa Filomena Iorio
“Adottare dei bambini, sentendoli e trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica….” Papa Giovanni Paolo II, 2000
L’Italia, stando ad alcune statistiche, è il secondo Paese al mondo dopo gli Stati Uniti d’America a presentare domande di adozione, ciò può essere attribuito sia al fatto che si decide di passare dall’essere coppia a genitori sempre più tardi per tutta una serie di motivi economici e lavorativi, sia perché essendo un Paese di stampo cattolico la famiglia viene ancora posta in primo piano e molto probabilmente vige ancora l’idea che una famiglia senza bambini sia da considerarsi “incompleta”.
Adottare non è quasi mai semplice, si mettono in gioco dinamiche psicologiche ed emotive complesse. È necessario che tale decisione sia condivisa da entrambi i componenti la coppia e sia frutto di una scelta matura e responsabile, perché decidere di considerare figlio proprio un bambino messo al mondo da altri, vuol dire per i futuri genitori creare dentro di sé uno spazio psichico che faciliti i processi di accettazione matura e consapevole, di un minore portatore di un vissuto personale doloroso caratterizzato da abbandono, rifiuto, negligenza nell’accudimento, trascuratezza, che non può essere sminuito o sottovalutato ma deve essere accolto, ascoltato, compreso.
1. L’adozione
La scelta adottiva, come emerge anche dalle esperienze riportatemi da alcune coppie adottive che ho seguito nel corso del tempo, giunge quasi sempre alla fine di un percorso travagliato contrassegnato da svariati tentativi falliti di procreazione medicalmente assistita.
La maggior parte delle volte, accantonata l’idea di avere un figlio biologico, inizia un iter altrettanto duro ed impegnativo fatto di burocrazia, visite mediche e psicologiche al fine di ottenere la tanto sospirata idoneità. Al termine di questo periodo, è possibile immaginare come tutto ciò possa mettere a dura prova le coppie che tentano di realizzare il proprio sogno di diventare genitori e poter dare finalmente affetto, amore, una casa ad un bambino che fino a quel momento ha dovuto condividere attenzioni, giochi, cure con altri bambini perché accolti in un orfanotrofio o peggio ancora, abbandonati a se stessi.
Come spesso viene riferito da più parti, si vive “una gravidanza” con tempi più lunghi dei canonici 9 mesi a seconda che si scelga l’adozione nazionale o internazionale.
Molto sinteticamente, nel caso delle adozioni nazionali si attende, dopo aver dato la propria disponibilità all’adozione, una convocazione da parte del Tribunale per i minori per poter dare il via alla procedura che inizia con una frequentazione del bambino in casa famiglia (per consentire una conoscenza reciproca), vi sarà poi un anno di affidamento preadottivo, ed infine l’adozione.
Nel caso dell’adozione internazionale, dopo aver fatto la scelta dell’Ente a cui affidarsi, si aspetta la proposta di abbinamento che consentirà alla coppia di decidere se accettare o meno, successivamente dovrà prepararsi per uno o più viaggi (a seconda del paese estero) in cui si avrà la possibilità di conoscere il futuro figlio, fino al ritorno in Italia.
Ciò che spinge queste coppie ad andare avanti è, non solo, la forte motivazione, ma anche la capacità di tollerare la frustrazione e dilazionare la gratificazione nel qui ed ora, per perseguire i propri intenti e perseverare nel raggiungimento dei propri obiettivi.
Le coppie che riescono ad attingere a queste risorse interiori vengono definite resilienti, sono in grado cioè di fronteggiare lo stress a cui sono sottoposti producendo delle risposte positive alle condizioni avverse (Michael Rutter).
Queste caratteristiche appena elencate aiutano gli aspiranti genitori ad andare avanti, resistere e sopportare anche eventuali lungaggini burocratiche.
2. Siamo finalmente una famiglia!
Una volta arrivati a casa, dopo i primi tempi caratterizzati da un turbinio di emozioni che vanno dalla gioia alla consapevolezza di doversi assumere la responsabilità di un altro essere umano, inizia il vero banco di prova caratterizzato da sfide più o meno impegnative.
Un ruolo fondamentale in questi primi momenti di vita insieme lo svolgono le aspettative che ogni genitore nutre nei confronti dei propri figli e soprattutto nella propria capacità di essere un genitore affettuoso, attento, amorevole ed in grado di stabilire un legame saldo e duraturo che in qualche modo possa riparare e ricucire i “danni” fatti da altri.
Sarebbe auspicabile per tutti, genitori e figli, che si crei il tanto agognato legame di attaccamento e che si riesca a fornire sin da subito quella base sicura (J. Bolwby) che consenta al bambino di placare le sue ansie ed allontanare le paure. Nel caso di un’adozione di un bambino di pochi anni il ruolo dei genitori adottivi potrebbe essere facilitato da una serie di circostanze favorevoli, ma poiché negli ultimi anni arrivano in adozione bambini già in età scolare e appartenenti ad etnie diverse, non tutto il percorso è in discesa, anzi, come mi è stato riferito da una coppia adottiva, sembra di “essere sulle montagne russe, quando ti sembra di aver raggiunto una certa stabilità nella relazione ecco che scendi in picchiata e non sai cosa aspettarti!”
Bisogna essere consapevoli che il bambino adottato ha sviluppato insicurezza come conseguenza delle carenti cure genitoriali ricevute e in relazione alle esperienze traumatiche vissute, ha appreso strategie per sopravvivere in contesti ostili che continuano a condizionarlo nel proprio funzionamento psicologico (in “Curare l’adozione” a cura di F. Vadilonga).
Stando alle numerose ricerche in questo campo è stato osservato che in alcuni contesti caratterizzati da rifiuto e maltrattamento, il bambino, per proteggersi, ha imparato ad utilizzare strategie basate sulla disattivazione dell’attaccamento, sulla compiacenza compulsiva, sulla soppressione delle emozioni, sull’aggressività (Crittenden, 1995). Anche se il bambino può essere dotato di una buona capacità cognitiva di capire le relazioni interpersonali, tutto ciò può essere condizionato da una scarsa capacità empatica e da un basso livello di competenza emotiva. Il vissuto emotivo di un bambino che ha sperimentato, sin da piccolo, trascuratezza e probabilmente anche maltrattamento fisico e psicologico è caratterizzato da ansia, paura ed incertezza ed in quest’ottica devono essere lette anche alcune reazioni inaspettate di bambini che sono stati in grado di adeguarsi ad un determinato contesto di accudimento e a mettere in atto risposte adattive più o meno adeguate tale da consentire loro la sopravvivenza: sono quelle reazioni esagerate che vengono riferite da alcune coppie di genitori che si rivolgono ai servizi sociali o al privato, spaventati per l’accaduto. Per questi bambini trovarsi in un contesto nuovo, non ancora prevedibile, avendo poca dimestichezza con la lingua (se minori stranieri), li disorienta e li spaventa.
Le famiglie adottive sono chiamate ad un compito impegnativo, ma non impossibile, farsi carico di queste esperienze forti e traumatiche, elaborarle e restituirle al proprio figlio sotto forma di emozioni più gestibili e meno spaventose. Ovvio che non sempre i genitori, pur avendo frequentato corsi sull’adozione, pur avendo imparato a comprendere alcuni delicati passaggi nelle fasi di crescita di un bambino, sono equipaggiati per affrontare questo ulteriore “viaggio emotivo”. In questi casi è importante rivolgersi ad un esperto che sia in grado di sostenere la nuova famiglia, nelle sue componenti: il minore, il singolo e la coppia.
“Una madre è come una sorgente di montagna che nutre l’albero alle sue radici,
ma una donna che diventa madre del bimbo partorito da un’altra donna
è come l’acqua che evapora fino a diventare nuvola
e viaggia per lunghe distanze per nutrire un albero solo nel deserto”
(Talmud)
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