Il Disturbo Da Attacchi di Panico: Coglierne Il Senso può Essere D’aiuto?

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Articolo scritto dal Dr. Vincenzo Mandrillo

Da parecchi anni si assiste ad una crescita esponenziale del disturbo da attacchi di panico (DAP), patologia psichica caratterizzata dall’insorgere improvviso di episodi di angoscia intensa, incontrollabile e che lascia terrorizzati. Il DAP sorge spesso in modo inaspettato, il più delle volte senza che sia possibile identificare eventi scatenanti, raggiungendo il picco in una manciata di minuti per poi risolversi entro un breve lasso di tempo. La sua intensità è però a volte tale, che è possibile provare un profondo senso di prostrazione anche nei giorni a seguire.

Solitamente, all’episodio di panico si accompagnano inquietudine e agitazione, assieme ad un comportamento disorganizzato e senza fine alcuno, che impedisce all’individuo l’organizzazione di una adeguata strutturazione del pensiero. Quando si presenta in maniera ricorrente, l’attacco di panico ha un forte potere disorganizzante sulla vita relazionale, lavorativa e sociale dell’individuo.

Separato clinicamente dal disturbo d’ansia generalizzato (DAG) e da altri disturbi di matrice ansiosa (disturbo ossessivo-compulsivo, fobia, disturbo post-traumatico da stress, ecc.), il DAP viene inquadrato dal DSM 5 come quadro clinico ad ampia manifestazione sintomatologica, annoverando tra i più comuni disturbi: dispnea o sensazioni di soffocamento, sbandamenti, instabilità o sensazioni di svenimento, palpitazioni o tachicardia, sudorazione, paura di morire, paura di impazzire o di fare qualcosa di incontrollato, dolore o fastidio al petto. Spesso, alcune di queste manifestazioni sintomatologiche, spingono l’individuo ad una corsa al Pronto Soccorso, pensando che sia in preda ad un infarto o ad un ictus.

La complessità del quadro sintomatologico rende chiaro il profondo condizionamento prodotto sull’individuo da questo disturbo, in più, quando è anche presente l’agorafobia (paura di ritrovarsi in situazioni dalle quali l’individuo suppone di non riuscire ad allontanarsi se non con aiuto esterno), il vissuto si complica e appesantisce. Non raramente, inoltre, (secondo alcuni autori circa nel 35% per cento dei casi), al panico sono associati fenomeni di depersonalizzazione (sensazione di estraneità nei confronti del proprio mondo psichico e somatico) e di derealizzazione (realtà esterna che viene percepita come strana ed insolita).

1. I numeri del panico

In Italia, secondo le ultime ricerche, l’esperienza del panico sfiora (nelle diverse gradazioni), un italiano su tre (33%) e di queste i due terzi (67%) sono donne. La fascia di età più colpita è quella che va dai 26 ai 35 anni, ma c’è un sensibile aumento di vittime del panico tra ragazze giovani e molto giovani (20%). Il DAP, spesso interessa persone che appaiono controllate, pacate e responsabili (40%), che raramente danno sfogo pubblicamente alla loro rabbia o alla loro emotività. Chi al contrario si considera emotivo (33%), molto emotivo (20%) o addirittura umorale (7%), tende ad essere meno predisposto allo spettro del panico, proprio perché meno ossessionato dall’apparire a tutti i costi “politically correct”, oppure perché portato a convivere ogni giorno ansie e paure e ad esternarle senza la preoccupazione di mascherarle. Purtroppo ancora oggi il panico resta un “male” curabile solo con gli psicofarmaci (25%) o superabile facendo finta che non esista (22%), mentre solo una piccola percentuale delle persone con tale disturbo (18%), ricorre alle cure dello psicologo o psicoterapeuta.

2. La personalità di chi soffre di DAP

Nei pazienti affetti da DAP, l’indagine psicologica evidenzia una serie di tratti e vissuti caratteristici, facendo risaltare un comune denominatore. Il periodo evolutivo dei soggetti affetti da DAP, riporta in maniera molto costante un clima di relazione con le figure genitoriali, caratterizzato da iperprotezione e apprensività, inoltre, l’atteggiamento adottato dai caregiver è spesso volto a proporre e a vivere sistematicamente un’immagine idealizzata del figlio. Questo Atteggiamento relazionale nei confronti del figlio, potrebbe mettere in luce un inconscio genitoriale, che rifiuta alcuni tratti del figlio giudicati negativamente, sostituendoli con altrettanti tratti idealizzati, che a sua volta il figlio nell’assecondare le aspettative dei genitori, farà propri sovrapponendoli artificiosamente a quelli “innati” ed autentici.

Questa Ambivalenza comunicativa da parte dei genitori, in maniera più incisiva da parte della madre (che dimostra il suo affetto a “condizione che”) potrebbe, pur non volendo, costringere il figlio a vivere una vera propria conflittualità interna, poiché egli, da un lato, non può far altro che adeguarsi al volere genitoriale, dall’altro, percepisce fortissime sensazioni ansiogene d’inadeguatezza. I tratti autentici rischiano quindi di essere vissuti come fonte di disapprovazione, con conseguente ansia di separazione e paura abbandonica.

Queste condizioni potrebbero evidenziare quanto nel paziente affetto da attacchi di panico, sia presente un retroterra psicodinamico connotato da insicurezza, senso di inadeguatezza, timore della disapprovazione, ansietà, paura della separazione e dell’abbandono, tutte condizioni da ricondurre sostanzialmente alla precarietà del processo di costruzione della “fiducia di base”.

Il potenziale paziente DAP a quest’angosciante condizione contrappone, in età evolutiva, la graduale costruzione di un falso Sé, che si organizza attraverso un’immagine idealizzata caratterizzata da sicurezza, fermezza, intraprendenza, coraggio, vivacità, ossia tratti sostanzialmente opposti a quelli originari, rifiutati in quanto fonte di intollerabile disapprovazione ed ansia.

In questa prospettiva s’inserisce l’interessante lavoro di Winnicott che afferma, infatti, quanto una madre “sufficientemente buona” dia al bambino la possibilità di sperimentare gratificazioni e frustrazioni in modo “sano” ed equilibrato. Winnicott afferma che, un ambiente familiare affettivo e rassicurante, dato principalmente dalle cure offerte dalla figura materna, permette al bambino di strutturare un “vero Sé”, effigie degli autentici bisogni e pensieri dell’individuo. Una madre che, invece, evidenzia difficoltà a rispondere alle richieste del bambino, o che interferisce con la sua autonomia e originalità, contribuisce ad instaurare nel bambino un “falso Sé”, che sarà dipendente dall’ambiente e che andrà a nascondere le proprie autentiche caratterizzazioni.

Per Winnicott l’ansia è essenzialmente dovuta al conflitto tra “falso” e “vero” Sé; ambivalenza che trae la sua origine dal rapporto disturbato con la madre, originato da una relazione non protettiva e rassicurante, che ostacola seriamente lo sviluppo di un’identità fondata sull’autenticità dei bisogni “originali” del bambino.

3. L’attacco di panico come segnale d’allarme

Il panico è un’emozione dell’uomo, appartiene a tutti noi ed ha una funzione evolutiva molto importante, poiché in un brevissimo lasso di tempo riesce a sprigionare un’enorme quantità di energia, al fine di scampare ad un pericolo mortale ed aver salva la vita. Ha quindi una sua utilità in casi di estrema necessità e di fronte ad un pericolo imminente e reale, che può causare danni irreparabili. Nel DAP, invece, l’attacco di panico spesso sembra scaturire dal nulla, soprattutto i primi episodi appaiono immotivati e di controversa comprensione.

Alla luce delle teorizzazioni fin qui riportate, il DAP potrebbe però assumere un significato in termini di evoluzione esistenziale: la necessità di ritornare urgentemente all’ascolto del vero Sé, che contiene l’espressione autentica della propria personalità, per uscire dall’identificazione con il falso Sé, che non appartiene alla naturale ed unica spinta progettuale dell’individuo, ma che rappresenta antichi condizionamenti che per necessità evolutive sono stati presi come modelli di riferimento. 

Il DAP, potrebbe quindi raffigurare quella sirena d’allarme che suona quando l’individuo si allontana troppo dalle sue innate caratteristiche, dal suo irripetibile temperamento, dal suo modo di vivere e sentire le emozioni, affinché si rimetta quanto prima all’ascolto delle sue originali propensioni, racchiuse nel suo vero Sé.

Il pericolo segnalato dall’attacco di Panico, potrebbe segnalare quindi, una deriva esistenziale non autentica dell’individuo, che seppur non in pericolo di vita, corre il rischio di immolare la propria esistenza al falso Sé, modellatosi in seguito alle aspettative ambientali.

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