Articolo scritto dal Dr. Massimiliano Gabboli
«Quanto tempo ci vuole per riprendere dei cavalli in fuga?»
G. Devereux
1. Jimmy P.: Storia di una Relazione Terapeutica
Alla sua prima opera “americana”, il regista francese Arnaud Desplechin ha scelto di ripercorrere la storia della terapia psicoanalitica condotta da George Devereux (Mathieu Amalric) con Jimmy Picard (Benicio del Toro), un indiano Blackfoot reduce della II guerra mondiale presso il Winter Veterans Hospital di Topeka, e da lui riportata in Reality and Dream: Psychotherapy of a Plains Indian (NY: International Univ. Press, 1951).
Se, sotto il profilo estetico, il film si ammanta di quella pacata atmosfera dorata che con il tempo abbiamo imparato a riconoscere come tipica delle pellicole biografiche che con un velo di malinconica idealizzazione ci raccontano le vite e le scoperte dei grandi uomini di scienza che lavorarono negli USA tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’50, la sua articolata sceneggiatura ci offre però un ampio e dettagliato sguardo sulla relazione terapeutica che legò i due uomini, oltre che un bel ritratto dello stesso Devereux, attraverso numerosi accenni alla sua biografia che ci mostrano come la sua passione per l’antropologia si intrecci inestricabilmente con la condizione di essere lui stesso un esule dalla terra d’origine, la nativa Romania, che aveva lasciato a dieci anni per trasferirsi con la famiglia in quella Francia che avrebbe scelto come sua patria di adozione, ma che, ormai adulto, lascerà nuovamente per recarsi negli Stati Uniti, dove trascorrerà diversi periodi per condurre i suoi studi sul campo presso gli Indiani d’America e dove successivamente soggiornerà per quasi un ventennio.
2. Psicoterapia e Antropologia
Dal mio punto di vista di psicologo psicoterapeuta appassionato di antropologia ed estimatore dell’opera dell’antropologo/psicoanalista romeno, il film evidenzia bene alcuni elementi specifici del metodo terapeutico che, da lui inaugurato, si svilupperà successivamente dall’etnopsichiatria fino all’elaborazione dell’approccio transculturale in psicoterapia:
- L’attenzione mostrata da Devereux nei confronti dell’appartenenza culturale, religiosa, tribale e familiare del paziente come elemento fondante del suo modo di sentire, di pensare e di dare significato alle sue esperienze, in quanto portatore di codici simbolici specifici che il clinico deve conoscere o, meglio ancora, esplorare insieme al paziente nel corso della psicoterapia per poter comprendere correttamente alcuni suoi processi mentali;
- Il graduale passaggio, nel corso della terapia, da un iniziale vivo interesse per le esperienze personali raccontate dal paziente, per i significati che egli vi attribuisce e per i processi mentali che segue nel farlo, portato avanti attraverso il succedersi di numerose domande, ad una più passiva ed accogliente posizione di ascolto che, una volta avviata la relazione terapeutica ed acquisita la necessaria fiducia reciproca, permetta al paziente di seguire liberamente il filo delle proprie associazioni;
- La vicinanza emotiva, fino alla compartecipazione ed al rispecchiamento, dei vissuti raccontati dal paziente, che viene sempre incontrato sul piano definito dall’intersezione fra la condivisione della medesima condizione umana ed il riconoscimento della differenza –culturale, religiosa, individuale, ecc…– per costruire una relazione umana fondata in una dimensione di reciprocità;
- La definizione, quando si siano raccolti gli elementi necessari, del significato e dell’utilità del sintomo –nel caso di Jimmy P. le cefalee e i problemi alla vista– che non è mai solo un fastidio o un disturbo da eliminare;
- L’uso dei codici simbolici e del linguaggio propri del paziente per tutto il corso della terapia; mentre le concettualizzazioni e le elaborazioni teoriche vengono riservate al momento in cui il terapeuta riflette sul proprio lavoro a seduta terminata ed alla comunicazione fra i clinici;
- La capacità di lasciare sullo sfondo le più ampie questioni del conflitto socioculturale e politico, per quanto esse possano essere drammatiche, considerandole solo nella misura in cui incidono nell’esperienza personale del paziente. In quanto “indiano” Jimmy P. risentiva inevitabilmente del declino della propria cultura conseguente alle espropriazioni ed alla colonizzazione dei “bianchi”, ma nella sua condizione di allevatore di bestiame relativamente agiato in una comunità che era riuscita a combinare l’organizzazione sociale ed i riti dei Blackfoot con elementi culturali esterni come il Cattolicesimo, non sembrava risentire di quella condizione di estraniamento che Devereux aveva visto all’opera presso altre popolazioni come i Mohave, gli Hopi o gli Yuma.
3. La dimensione transculturale della psicoterapia
Un ulteriore apporto dell’approccio transculturale alla psicoterapia, ovvero la possibilità per il clinico di rivolgere su se stesso i propri strumenti, riflettendo sulla propria appartenenza culturale, sulla propria condizione di “straniero” o di individuo sospeso tra diverse appartenenze culturali eventualmente in conflitto, viene invece mostrata nel film attraverso alcuni delicati accenni alla biografia di Devereux, come il suo presentarsi come Francese, tralasciando di dichiarare la sua origine romena; il suo essere riconosciuto come esperto di valore, ma al quale viene costantemente ricordato che non è medico né ha completato il suo training psicoanalitico, ed il suo enigmatico rapporto con una donna che ama, ma che non trova il coraggio di tenere accanto a sé. Anche l’elemento contestuale delle sedute psicoterapeutiche che nel film vengono condotte sempre in stanze diverse, la dice lunga su questa condizione di prolungato “nomadismo”.
Non sappiamo bene come Devereux sia concretamente riuscito a lavorare su questa dimensione del lavoro psicoterapeutico nel seguito della sua vita e della sua carriera, tuttavia il film ci mostra come nelle prime psicoterapie con pazienti non Europei essa sia indubbiamente stata una grande risorsa ed evidenzia come uno dei pregi più rilevanti del lavoro di Devereux e dei suoi successori con questi pazienti, sia consistito nell’arricchire il lavoro degli psicoterapeuti di qualsiasi orientamento affinando la loro sensibilità nell’accogliere ed elaborare le diversità di cui loro ed i loro pazienti sono portatori nello spazio della seduta, le quali sono solo più evidenti quando i due appartengono a culture differenti, ma sono sempre e comunque presenti.
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