Articolo scritto dalla Dr.ssa Sara Zienna
Joker è un personaggio immaginario entrato nelle scene a partire dai fumetti di Batman. È uno dei criminali più conosciuti, l’antitesi del Cavaliere Oscuro. La sua figura è ai primi posti delle classifiche dei personaggi più cattivi. Proviamo a delineare il suo profilo di personalità.
1. La trama
Un film da oltre un miliardo di incassi e due premi Oscar.
Arthur Fleck è un bambino che viene adottato da una donna affetta da disturbi mentali, i quali la portano a rifugiarsi in un mondo immaginario e parallelo per trovare sollievo dalle sue sofferenze psicologiche. Un modo per fuggire dalle sue emozioni. Ciò si esplicita maggiormente nel mandato che dà ad Arthur quando gli dice “devi sorridere”, come se non fosse possibile provare emozioni negative.
Nei primi anni di vita, Arthur subisce violenze da parte del compagno della madre.
È un aspirante comico che si ritrova spesso in brutte situazioni a causa dei disturbi mentali di cui soffre.
La sua precaria situazione economica, mentale e sociale fa sì che spesso venga rifiutato, disprezzato e isolato, quando il suo obiettivo principale è proprio quello di farsi accettare dagli altri.
A seguito di alcune circostanze che vanno ad aggravare ancora di più la sua situazione, come ad esempio dei tagli del sistema sanitario che gli tolgono Il supporto psicologico e farmacologico di cui ha bisogno e delle aggressioni subite, la vita di Arthur inizia ad entrare in un circolo vizioso senza controllo di violenza, aggressività e brutalità.
È proprio a questo punto che Arthur si trasforma nel suo alter ego criminale: Joker.
2. Il profilo psicologico di Arthur
Arthur è cresciuto in un contesto deprivato a tutti i livelli: affettivo, emotivo, economico, sociale. Non ha avuto alcun punto di riferimento, nessuna valida figura con la quale identificarsi. Da qui la sua incapacità a instaurare dei legami stabili, delle relazioni solide. La patologia della madre lo ha costretto a crescere senza alcun tipo di accudimento o rêverie. Nessun accesso alle emozioni, scarsa empatia. Il trauma causato dalle violenze vissute in famiglia, lo hanno portato a sviluppare un grave disturbo psichiatrico. Anche Arthur, come la madre, si isola in un mondo fittizio, dove ha l’illusione di vivere una realtà più accettabile attraverso un disturbo psicotico fatto di deliri e stati allucinatori.
Le scarse attenzioni da parte delle figure di accudimento, lo fanno sentire invisibile, fino a mettere in dubbio la propria esistenza. L’assenza di accudimento da parte dei caregiver ci fa sviluppare la sensazione di non avere valore, di non essere visti, di non essere importanti e ciò si protrae per tutta la vita. Queste mancanze lo portano a sviluppare anche un disturbo depressivo. Arthur è frammentato, vive continuamente alla ricerca di un senso di identità unitario: cerca di tenere insieme i cocci, i pezzi sparpagliati della sua personalità. Come se fosse un puzzle scomposto, dove non si riesce a mettere insieme i pezzi, esito dell’impossibilità di identificarsi con una persona solida. Ogni suo tentativo è fallimentare a causa della mancanza di punti di riferimento positivi da poter utilizzare come modelli ai quali ispirarsi. Arthur è infatti alla costante ricerca di esempi da imitare.
Uno degli aspetti più contrastanti che emergono nel film è la sua iconica risata. Una risata patologica ed inappropriata, completamente sconnessa dall’espressione del volto di Arthur, che ha il suono del terrore e della disperazione.
Il passaggio dalla risata alla derisione di chi ha intorno è molto breve. Una vita da aspirante comico, passata a cercar di far ridere le persone, pur non avendo le capacità per cogliere l’umorismo, si ritorce contro di lui che viene continuamente isolato e bullizzato per la sua deprivazione. La comicità è la sua catarsi, il suo modo per cercare di liberarsi dal costante dolore emotivo che non gli lascia mai tregua.
Arthur inizia a sentirsi visto solo a seguito di alcuni eventi che fanno scalpore. Ottiene infatti interesse e attenzioni quando uccide tre uomini che lo stavano aggredendo. Una situazione paradossale: viene notato perché fa cose inaccettabili.
Nello stesso periodo, avvengono altri eventi negativi che influiscono sul suo equilibrio già precario. Viene licenziato dal suo lavoro di clown perché, durante uno spettacolo per bambini, gli cade la pistola che si portava dietro per difendersi dopo le aggressioni subite.
A seguito di un ricovero in ospedale della madre, scopre le sue menzogne deliranti circa le sue origini: non era vero che fosse il figlio di Thomas Wayne.
A causa di alcuni tagli sanitari, perde il sussidio per i suoi farmaci che smette così di prendere.
Improvvisamente, Arthur perde tutti i suoi punti di riferimento. Tutti questi eventi concorrono a far saltare la sua incerta stabilità e, a seguito di un breakdown psicotico, Arthur dà vita a Jocker. Ed ecco qui che non c’è più bisogno di imitare nessuno o di cercare negli altri un riferimento. Arthur crea il suo nuovo io, dandosi un nome, una presenza fisica, un carattere, una nuova voce. Insieme alla madre, sparisce anche la sua risata paralizzante, legata al mandato di dover ridere sempre. Joker da una nuova identità ad Arthur. Da essere vittima di una società che promuove l’isolamento di chi è diverso, si trasforma nel suo carnefice.
Lo scompenso psicotico, che fa emergere in modo prepotente la patologia di Arthur, gli permette allo stesso tempo di avere una visione più consapevole della propria patologia: “L’aspetto più buffo dell’avere una patologia mentale è che tutti pretendono che ti comporti come se non ce l’avessi”. Un uomo che nel tempo si rassegna a non essere compreso, pur continuando a cercare in modo tenace un’approvazione che sembra non arrivare mai. Il sorriso dipinto con il sangue delle vittime è il simbolo che racchiude il significato della sua vita, a partire dal mandato materno “devi sorridere”
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