Articolo scritto dal Dr. Guglielmo Rodofili
1. L’incertezza della giovinezza: la metafora dell’albero di fico
La campana di vetro è l’unico romanzo di Sylvia Plath, pubblicato nel 1963, e racconta le prime esperienze di vita di una giovane donna, Esther Greenwood, all’ombra della malattia mentale, e rappresenta ancora oggi una delle più riuscite rappresentazioni della depressione da parte di chi l’ha vissuta. L’autrice stessa si tolse la vita un mese dopo la pubblicazione del romanzo.
Esther è una giovane donna depressa ma altamente funzionale fino a un certo punto dell’opera. Brillante al college, ottima scrittrice, intelligente. È giovanissima ma ha raggiunto un traguardo invidiabile dalle sue coetanee, un tirocinio pagato in una famosa rivista di moda a New York. Nessuno l’ha aiutata, è stato tutto frutto del suo lavoro e della sua apparente determinazione. Ma allo stesso tempo dentro di lei comincia a farsi strada un vuoto, il vuoto di chi, così giovane, vede la società spingerla e andare freneticamente avanti, mentre lei non ha idea di cosa voglia diventare, e sente la pressione di questi possibili futuri che sembra le si stiano sgretolando davanti, e che rappresenta con la famosa metafora del fico: «Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto. Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un frutto meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista, un altro era l’Europa e l’Africa e il Sud America, un altro fico era Costantin, Socrate, Attila e tutta una schiera di amanti dai nomi bizzarri e dai mestieri anticonvenzionali, un altro fico era la campionessa olimpica di vela, e dietro al di sopra di questi fichi ce n’erano molti altri che non riuscivo a distinguere. E vidi me stessa seduta sulla biforcazione dell’albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere. Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché, uno dopo l’altro, si spiaccicarono a terra ai miei piedi»
2. La depressione di Esther
Ma la sofferenza di Esther ha anche delle cause più profonde. La sua depressione sembra avere un’origine in parte traumatica, legata alla morte del padre a nove anni, momento dopo il quale non si ricorda di essere più stata felice. Anche il rapporto con il maschile, in una società fortemente patriarcale, è tormentato. Quando un ragazzo tenta di aggredirla sessualmente a una festa, la sua esperienza newyorkese si conclude. Per Esther è la goccia che fa traboccare il vaso.
Quando arriva anche il rifiuto per un corso di scrittura tanto desiderato, la protagonista torna a trascorrere il resto della sua estate a casa con sua madre. Si sforza di scrivere un romanzo ma diventa sempre più scoraggiata, finché, dopo un tentativo di suicidio, viene ricoverata in un istituto psichiatrico. La depressione costituisce il velo attraverso cui Esther vive e vede le cose del mondo, la sua campana di vetro, appunto.
«Dovunque mi fossi trovata, sul ponte di una nave o in un caffè di Parigi o a Bangkok, sarei stata sotto la stessa campana di vetro, a respirare la mia aria mefitica.»
3. Una donna ribelle in una società patriarcale
Il romanzo ha una forte componente autobiografica. Il rapporto di Esther con gli uomini è segnato dal rapporto della stessa Plath con il poeta Ted Hughes. La Plath ha vissuto una relazione tormentata col marito, come è emerso recentemente da una serie di lettere riservate della Plath alla sua psichiatra, in cui affermava che Hughes fosse fisicamente e psicologicamente violento negli ultimi anni del loro matrimonio.
Anche Esther, la protagonista del romanzo, non solo affronta la sua personale battaglia contro la depressione, ma è in contrasto con le aspettative della società per le donne dell’epoca, spinte a comportarsi in modo riservato e compiacente. Questo si ritrova nella sua relazione con Buddy Willard, un aspirante dottore di buona famiglia. Esther è in conflitto con Buddy non perché le sia stato infedele come fidanzato, ma perché è stato ipocrita con lei sin dall’inizio. Nell’America degli anni cinquanta, gli uomini erano considerati i leader patriarcali naturali nella società, e il coinvolgimento in atti adulteri era considerato una parte normale del comportamento di un uomo, indipendentemente dal fatto che avesse una relazione impegnata o meno. Buddy si presenta falsamente a Esther come un giovane innocente e puro, e forse Esther è anche gelosa del fatto che Buddy abbia il privilegio di trasgredire le aspettative della società, sperimentando ad esempio il sesso prematrimoniale ed esplorando la sua sessualità in generale. Questo confronto aggrava la mancanza di fiducia personale e sessuale di Esther, che non possiede quel privilegio.
La Plath fa acquisire alla protagonista stessa una crescente consapevolezza dei limitati ruoli femminili a sua disposizione e il suo senso di isolamento e paranoia. Le aspettative contraddittorie imposte alle donne in relazione alla sessualità, alla maternità e ai risultati intellettuali sono legate al senso che Esther ha di se stessa come frammentata, e sono una della cause della sua depressione.
4. La realtà della malattia mentale
Plath è una delle prime autrici a descrivere la realtà della malattia mentale in un romanzo. È lei stessa a soffrire di depressione e a subire un ricovero in un istituto psichiatrico, di cui descriverà molti aspetti nel romanzo: il distacco dalla società, il tabù della malattia mentale, i trattamenti di elettroshock. Ne descrive la pervasività in ogni aspetto della vita, che lei definisce appunto la ‘campana di vetro’ che la separa dal resto del mondo. Inoltre, la depressione nel romanzo non riguarda una persona derelitta, ai margini della società, ma una giovane ragazza brillante e apparentemente di successo. Anche in questo sta la modernità di Plath, che ha avuto il coraggio di parlare di malattia mentale e, in parte, quindi, della sua vita, e di mostrarne la sua tragica invisibilità.
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