Articolo scritto dalla Dr.ssa Sara Zannoni
La rabbia è un’emozione controversa che porta con sé sempre un carico di pregiudizio e di errata comprensione. Culturalmente la rabbia, insieme alla paura, alla tristezza, al dolore e alla vergogna, è una delle emozioni viste come negative, ovvero un qualcosa che debba essere nascosto, evitato, controllato, qualcosa di cui ci si dovrebbe vergognare e che le persone “buone” oppure “perbene” non dovrebbero provare e tanto meno dimostrare. Ma perché c’è così tanto astio verso questa emozione e perché invece ne abbiamo così tanto bisogno?
1. La rabbia è una delle prime emozioni
La rabbia è un’emozione, una delle prime che il bambino scopre, e fa parte del nostro pool genetico come esseri umani. È una delle 6 emozioni fondamentali che appartengono a molte specie animali e a tutti gli esseri umani in modo innato, tra cui anche gioia, tristezza, paura, disgusto, sorpresa, come dimostrato da numerose ricerche che partono da Darwin e Lorenz fino ai nostri giorni. E quando è che ci arrabbiamo? Se aveste la possibilità di osservare un bambino piccolo, vedreste come la rabbia appare naturalmente quando gli viene tolto un gioco che tiene in mano. Oppure quando gli viene detto un no per qualcosa che non dovrebbe fare: il bambino non riesce a dare importanza alla sua salute, o al suo benessere, o alla sua protezione, ed ogni no diventa un blocco ad un suo desiderio, ad un suo bisogno, e questo lo porta ad una frustrazione, che è una sfumatura dell’emozione rabbia. Da adulti i pezzi che ci portano via sono di entità molto diverse, ma sono sempre parti importanti che ci appartengono e che sentiamo di non voler perdere, come la nostra libertà, i nostri spazi, i nostri valori, le nostre parti interne (ad esempio, quanto ci fa arrabbiare scoprire di essere cambiati e di essere una persona diversa dopo la fine di una relazione importante?). Bene! Ciò che è nostro va protetto diligentemente e costantemente, da appena nati in poi, e gli scambi e le condivisioni sono ben accette, ma ciò non significa privarsi di nostre parti senza combattere o mercanteggiare su tutto ciò che ci appartiene; la rabbia è naturale e serve a qualcosa!
È opportuno adesso tornare a parlare in termini etologici, perché così è più semplice da capire. E perché, d’altronde, è così che noi siamo, siamo animali e le nostre emozioni sono collegate alla nostra amigdala e alla nostra parte del cervello più ancestrale sulla quale si è poi andata sommando, con l’evoluzione, la nostra attuale materia grigia. Essendo animali, mammiferi, abbiamo ancora dentro di noi parti impulsive ed istintive che “pensano” come lo avrebbero fatto nell’era preistorica. E possiamo crederci migliori, superiori a tutto ciò, credere di non essere preda dei nostri impulsi primari, e raccontarci tante altre belle frottole, sublimando e razionalizzando quanto più desideriamo, ma, nonostante tutti i nostri sforzi, saremo sempre spinti da tali pulsioni e, per vivere meglio e capirci, dovremmo provare a fare i conti sinceramente e in assenza di giudizio con queste nostre parti, abbracciando e accettando anche quelle più “animalesche”.
2. A cosa serve arrabbiarsi
La rabbia, come dicevamo appunto, appare quando ci vengono pestati i piedi, quando vediamo messo in pericolo il nostro territorio e dobbiamo tirare fuori i denti per spaventare l’altro e farlo scappare; appare quando ci viene tolto qualcosa di nostro (tempo, relazioni, impegno); la sentiamo quando non vogliamo fare qualcosa, oppure quando ci sentiamo obbligati a prendere strade o decisioni che non seguono il nostro volere, ma che invece seguono i desideri degli altri, le altrui aspettative, le altrui pretese (della famiglia, del/della compagn*, del datore di lavoro); si rivela quando non riusciamo a dire di no e permettiamo agli altri di usarci o di manipolarci, per fare i “buoni”, per non passare da “cattivi”, per fare sempre bella figura. Inoltre ci arrabbiamo davanti ad una frustrazione, di qualsiasi tipo: infatti la rabbia ha varie gradazioni, da un piccolo fastidio perché ti si è rotta un’unghia, a una forte agitazione perché non trovi parcheggio al decimo giro del quartiere, ad un’ira accecante se vieni tradit* o se ti vengono dette delle bugie o male parole.
Insomma, la frustrazione di un desiderio oppure la frustrazione di una nostra possibilità di movimento porta alla rabbia, per questo è opportuno lavorare fin da piccoli, sia a scuola che in famiglia, sulla sopportazione delle frustrazioni e sulla buona gestione della risposta alla rabbia. E una buona gestione della rabbia sta nella sua espressione, che è del tutto diversa dalla sua azione (ma qui ci torneremo dopo). La realtà metterà tutti noi prima o poi davanti ad una frustrazione, alla delusione delle nostre richieste e dei nostri desideri e questo ci farà arrabbiare, come è sano e normale che sia, perché altrimenti, senza la rabbia, non ci attiveremmo mai per combattere e difendere ciò che nostro. Staremmo lì, fermi, bloccati come pesci lessi, inermi ad attendere che la vita ci passi davanti, senza attuare nessun minimo cambiamento alla nostra situazione, senza aggredire la vita (nell’accezione di adgredior, che in latino significa andare verso, avvicinarsi). Pensate a quando dovete mangiare, oppure dovete andare a parlare con una persona che vi piace, o quando dovete alzare la mano e dire la risposta che vi farà superare l’esame più importante della vostra carriera, beh, quella energia lì è aggressività ed ha un suo scopo, un suo fine e sì, si manifesta anche grazie alla rabbia. Il trucco, quindi, sta tutto nel come viverla questa emozione.
Ci arrabbiamo per attaccare se vogliamo qualcosa ma anche per difendere ciò che è nostro o ciò che ci è caro, oppure per aiutare qualcuno; ci arrabbiamo quando siamo vittime di ingiustizie o quando vediamo soprusi e prevaricazioni verso gli altri; ci arrabbiamo anche se ci passano davanti in fila alla cassa, ma decidiamo di lasciare correre e di non dire nulla perché non ne vale la pena di farci lo stomaco amaro per due minuti di attesa in più; oppure ci arrabbiamo quando il capo ci mette a disagio davanti ai colleghi ma non possiamo rispondere perché siamo a lavoro e non vogliamo metterci nei guai. E va bene! Non dico di fare risse al supermercato o di farci licenziare, dico soltanto che l’emozione la sentiamo comunque, che lo vogliamo oppure no, possiamo solo decidere cosa farci di quello che proviamo, a seconda del contesto e di quello che ci conviene di più. Tanto le emozioni le sentiamo comunque, e ignorarle o negarle porterà soltanto a creare dentro la nostra anima dolorose parti inespresse.
3. Perché giudichiamo la nostra rabbia
Questa è davvero una strana domanda, a cui ognuno di noi ha sicuramente una sua personale risposta, ma in linea di massima, a mio parere, di solito giudichiamo la nostra rabbia per cultura ed educazione e, negli altri casi, abbiamo un’opinione negativa della rabbia perché la confondiamo con la violenza e con le aggressioni. Rispetto alla nostra cultura e all’educazione, la rabbia è stata vista in modi diversi a seconda del sesso delle persone. Infatti, da secoli, la società ha limitato o impedito l’espressione della rabbia nelle donne e nelle bambine, e l’ha invece spronata e incentivata negli uomini e nei bambini maschi. Inoltre, per educazione, in modo da apparire sempre carin* ed educat* e per mantenere la nostra immagine sociale, la rabbia è sempre stata negata, repressa, non ascoltata, basti pensare al senso di smarrimento quando da bambini ci veniva detto di non piangere o di non reagire se ci veniva preso qualcosa, e ci veniva chiesto di non fare scenate, di non fare rumore, di non urlare, bloccando così la nostra normale espressione emotiva e facendola passare come qualcosa di brutto, di sbagliato, di inaccettabile; sono sicura che molte di queste situazioni siano familiari a coloro che stanno leggendo.
Altro problema si ha quando confondiamo l’emozione della rabbia con la violenza e le aggressioni. Ormai siamo abituati a scene fin troppo quotidiane, dai telegiornali ai telefilm, di persone che quando si arrabbiano, aggrediscono l’altro, diventano violente, alzano i toni della voce o addirittura anche le mani sopra un altro essere vivente. Beh, quella non è rabbia, almeno non soltanto, quella è principalmente violenza. E la violenza è il modo peggiore in cui si possa agire la rabbia. La violenza è spesso collegata alla rabbia ma è appunto una mal gestione di questa emozione, che non è mai stata sentita adeguatamente, ma è stata invece nascosta ed evitata per troppo tempo, giungendo a punti di non ritorno e ad esagerate reazioni. Reagire non significa scegliere cosa fare, ma significa spegnere il cervello e rispondere acriticamente spinti da impulsi che spesso portano a risultati non desiderati. L’unico modo sano e utile di gestire la rabbia è invece quello di sentirla ed esprimerla, e non di “agirla” verso poveri malcapitati.
4. E quanto è importante esprimerla?
La rabbia, se vista con il giusto sguardo, senza paura o giudizio, è energia, è un fuoco che ci esplode dentro e ci dirige verso ciò che vogliamo, verso ciò che desideriamo conquistare e raggiungere. È una forza che ci spinge e ci fa da motore motivazionale verso il mondo esterno. Se imparassimo a sentirla senza paura e senza preconcetti, se riuscissimo a sentirla onestamente e poi ad esprimerla (attraverso suoni, urli, canti, balli, tecniche artistiche, sbattendo cuscini, colpendo pupazzi, in spazi controllati e accompagnati da professionisti), questa emozione diventerebbe il carburante più potente della nostra vita, quell’energia appunto che ci permetterebbe di muoverci e di non bloccarci nell’immobilismo e nella paura. Esprimerla permetterebbe inoltre di sanare relazioni incistate, dolori inespressi e frustrazioni mai risolte; anche solo ammettendo e poi drammatizzando quanto siamo infuriati (anche solo immaginando l’oggetto della nostra rabbia che non importa essere presente) questo permetterebbe una liberazione di energie sane e positive che portano sollievo e permettono di superare rancori e infine anche veri e propri sintomi, quali ansia e stati depressivi.
5. Conclusione: cos’è quindi la rabbia
La rabbia è un’emozione e in quanto tale è sana e naturale. E, come tutte le emozioni, ha un picco e un periodo di permanenza e bisogna lasciarla esistere tutto il tempo che le è necessario, aspettando la sua diminuzione e poi cessazione, proprio come se stessimo ad osservare una gigantesca e imponente onda oceanica che si infrange sugli scogli. La cosa del tutto non sana e non naturale è il non esprimerla (che è ben diverso dall’agirla attaccando e urlando verso ogni persona che incontriamo sul nostro cammino), ma viverla senza trattenerla, senza nasconderla e reprimerla, senza evitarla a tal punto di negarla, e quindi credere di non provarla. Quando la neghiamo o facciamo finta di non provarla perché ci spaventa, perché ne abbiamo visto la sua faccia peggiore da bambini e non vogliamo diventare come i nostri “aguzzini”, oppure non la vogliamo sentire perché ci sentiamo superiori a questa animalesca pulsione o perché abbiamo timore che sgretoli la nostra identità, questa creerà parti oscure dentro di noi e ci spingerà ad agirla in modi e in momenti inadeguati oppure a indirizzarla verso noi stessi, ovvero a “retrofletterla” (direzionarla verso parti di noi che non ci piacciono), procurandoci molto molto dolore.
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