Articolo scritto dalla Dr.ssa Sara Zannoni
Per me, scrivere è viversi, conoscersi,
essere archeologi di se stessi.
Se scaviamo dentro noi stessi, troveremo di tutto:
dal criminale al santo, dall’eroe al codardo.
José Luis Sampedro
Il tema della scrittura è a me molto caro e, dopo un precedente articolo, eccoci qui a continuare il viaggio dell’autocura con questo strumento. Per continuare l’argomento, tratterò in queste pagine del significato del Ciclo del Contatto, pilastro fondamentale della Terapia della Gestalt, parlerò della differenza tra agito ed espressione e descriverò altre possibili esperienze di scrittura creative e semplici, che possono essere fatte da ognuno di noi, anche da soli nelle nostre case, per entrare in contatto con noi stessi e per conoscerci meglio.
1. Cos’è il Ciclo del Contatto
Fritz Perls nel suo libro –Teoria e pratica della Terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità umana-, definisce il Sé come “l’atto creativo di creare contatto”. Il Sé è quel sistema di contatti che hanno luogo in ogni momento tra noi e il mondo esterno (risposte a stimoli esterni, relazioni, richieste) oppure tra noi e il nostro mondo interno (bisogni fisici, emotivi, fisiologici ecc) ed è un processo mutevole e vitale che cambia a seconda dei bisogni della persona e del contesto. Possiamo definire ancora meglio il Sé come il confine di contatto in funzione e la sua attività è quella di far emergere in figura, da uno sfondo sfocato, bisogni impellenti che, una volta soddisfatti, torneranno sullo sfondo per dare spazio ad un nuovo bisogno. Per capire facilmente tutto questo, possiamo fare l’esempio dei bisogni fisiologici, come quando si ha fame oppure quando ci sentiamo assetati (sento una sensazione nel mio corpo-capisco che ho sete-ne divento consapevole-organizzo il mio pensiero per soddisfare la mia sete-compio azioni per bere-sono soddisfatto) ma questo ciclo del contatto avviene anche per tutti gli altri bisogni, quindi anche per quelli espressivi delle emozioni umane.
Come riferisce Sampognaro nel suo libro –Scrivere l’indicibile– (2008) il processo dello scrivere si può sovrapporre all’esperienza del ciclo del contatto. Prima di iniziare a scrivere, la persona è in preda ad emozioni multiple e variegate, sente un’iniziale carica energetica senza forma, che a me, ad esempio, si presenta come un nodo allo stomaco, una molla ansiosa che potrebbe trasformarsi in qualsiasi cosa, ma, invece di scoppiare in un agito violento o scappare in un totale evitamento, emerge in parole su un foglio, e, dopo aver scritto ciò che provo, il mio bisogno espressivo è soddisfatto e non ho più voglia di scrivere altro.
2. A cosa serve scrivere (meglio ribadirlo)
La scrittura è quindi un contatto vitale e creativo con la propria realtà interna ed esterna. Scrivere infatti non significa solo parlare di noi stessi, dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, ma è dare voce a tutte quelle parti interne in comunicazione tra loro e anche a far emergere parti di noi che giudichiamo sbagliate.
É il processo stesso dello scrivere che crea contatto tra ciò che sentiamo, ciò che pensiamo e le nostre azioni e, simultaneamente, scrivere crea la narrazione in continua trasformazione di noi stessi.
La scrittura è intesa come una terapia quando ne viene riconosciuto il senso rigenerativo e riparativo, in quanto facilita l’auto-conoscenza e la riscoperta di una nuova, e da pochi conosciuta, intimità con se stessi. Si può trovare scrivendo il sollievo dell’anima per il solo fatto di poter esprimere con carta e penna i più reconditi segreti, i traumi mai detti, i desideri che possono essere solo immaginati. Si può immaginare qualsiasi cosa, anche la più atroce e truculenta; farlo, immaginandola, soddisfa l’investimento emotivo umano a tal punto da non portare la persona ad agirlo realmente.
E scrivendolo si ha lo stesso effetto: ci possiamo distanziare dalle parti che non ci piacciono per poi rivederle con amore e benevolenza; si può immaginare di essere i più crudeli assassini e stupratori, per esprimere la nostra aggressività senza far realmente del male; si può essere cortigiane e meretrici e poter fare tutto quello che ci impediamo nella vita vera e che ci giudicheremmo nel fare. Inoltre, mentre si scrive un’emozione, la si oggettivizza, ne diventiamo spettatori esterni senza identificarvisi e così, nella rilettura, la prospettiva cambia, è più lucida e si riescono a vedere anche delle parti che prima erano nascoste dall’intensità di un’emozione che ne aveva preso il sopravvento. Si può, ad esempio, vedere gratitudine e affetto per un* ex compagn* sotto la coltre di rabbia e dolore per l’abbandono e la solitudine dopo essere stati lasciati.
3. La differenza tra agire ed esprimere
La terapia della Gestalt è una terapia dove si invita e si invoglia l’esprimersi diretto della persona, del suo mondo interno e di se stessa.
L’esprimersi però, per essere efficace e soddisfacente, deve seguire alcune regole: a) deve essere diretto ad un Tu, rivolto ad una persona, reale o immaginaria; b) deve essere una comunicazione che parla di un Io, ovvero sorretta da una frase che mostri qualcosa di colui che parla e che descriva una sua emozione; c) non deve essere una comunicazione giudicante o invadente lo spazio altrui.
Esiste una differenza infatti tra l’agire e l’esprimersi: agire è quando si inizia a parlare rivolgendosi all’altro con un “Tu fai” “Tu sei”, ed ha il sapore dell’invasione, dell’aggressione, del giudizio. È come mettersi fuori dalla relazione duale credendo che esistiamo solo noi stessi; è proiettare sull’altro nostre paure e angosce, senza prendersi la responsabilità di quel che sono e sento; è ignorare che anche io con la mia presenza creo la relazione, e se non ci fossi, la relazione non esisterebbe. Esempi di agiti sono anche quando si lancia una penna a qualcuno per rabbia, senza avere il coraggio di sentirla quella rabbia e di sentirsi deboli e feriti se mai ammettessimo “io sono arrabbiato perchè non mi ami”. Oppure è quando si offende qualcuno non riuscendo a sopportare la nostra frustrazione o angoscia.
Esprimere, invece, è quando si inizia a parlare dicendo “Io mi sento così” “Io quando fai questo, sento quest’altro” e significa far vedere qualcosa di noi stessi, ammettere di essere parte della relazione e di costruirla a nostra volta.
La scrittura in questo caso ci permette di unire agiti con espressioni: nei propri scritti le persone possono offendere, urlare, uccidere, strozzare, lamentarsi, disperarsi, sentirsi vermi striscianti e inetti, oppure orchi crudeli e senza anima e possono così “agire” le loro peggiori parti, ma senza rischiare di distruggere realmente la relazione. Si può anche vedere in ciò una parte di vigliaccheria e di scarso coraggio, ma l’effetto rimane soddisfacente e traghettatore di nuovi insight e anche, a volte, creatore di produzioni di valore estetico.
4. Nuove proposte di scrittura per autocurarsi
Vorrei proporvi adesso altri esercizi che ho trovato durante i miei studi e che uso nella mia pratica terapeutica, per invogliarvi a prendervi del tempo per voi e per giocare con le parole. Avrà subito un effetto trasformativo e piacevole. Non importa nulla quello che vi diceva la prof. di italiano a scuola, oppure se pensate di scrivere male, o se la sintassi non è giusta: scrivete di getto, scrivete senza pensare, senza giudicarvi e giocate!
Proviamo con questi esercizi:
- inventa un personaggio anagrammando il tuo nome e poi descrivilo, parlando dei suoi gusti, dei suoi difetti, di come si comporta, immaginando e sintetizzando la sua biografia
- trascrivi un sogno e poi cambia il finale a tuo piacimento
- fai un esercizio di decentrazione: prendi un episodio della tua vita e parlane scrivendolo e descrivendolo come se a farlo fosse tuo padre, tuo fratello, tua madre, il tuo cane, la tua migliore amica, il benzinaio che ti ha visto cadere dal motorino ecc…
- scrivi 10 titoli (come se fossero titoli di film o libri) che hanno a che fare con la tua vita e ripeti l’esercizio per 3 volte, vedrai dei cambiamenti interessanti e i concetti essenziali verranno alla luce
- scrivi una volta al giorno per una settimana, scegliendo un momento nel qui e ora (non importa che sia sempre lo stesso, puoi decidere liberamente, ad esempio tutte le mattine a colazione) una metafora di come ti senti in quel momento (es. mi sento come un fiume che sta per rompere gli argini).
Conclusione
Vorrei concludere questo mio articolo rinnovando il mio invito a prendervi del tempo per voi stessi, a giocare con le parole, a esprimervi senza remore e senza giudicarvi, per avere un nuovo contatto con voi stessi e con il vostro mondo interno. Sono sicura che scoprirete nuove parti di voi, oppure parti sommerse, e scoprirete moltissime cose che avreste voluto dire, ma che, per un caso o per un altro, non siete riusciti ad esprimere, bloccando il vostro cuore, impedendogli di scorrere e andare a avanti.
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