Articolo scritto dal Dr. Fabrizio Quattropani
1. Differenza tra rabbia ed aggressività
Prima di entrare nel vivo del tema vorrei fare una premessa che riguarda la differenza che in psicoterapia della Gestalt si fa tra rabbia e aggressività.
Nell’accezione etimologica del termine, aggressività significa “andare verso”, “avvicinarsi” a qualcosa (Enciclopedia Treccani). Pertanto, ha a che fare con un nostro bisogno/desiderio e quindi
con un obiettivo da raggiungere.
Immaginiamo un calciatore che, con la palla al piede, corre verso la porta: egli sta commettendo un atto aggressivo; la sua corsa e la sua energia (mentale e fisica) sono tutti orientati verso la porta chi gli si mette fra le gambe avrà un gran filo da torcere.
Pertanto, l’aggressività rappresenta una funzione necessaria alla sopravvivenza. Pensiamo agli
antichi villaggi dove si cacciava, in cui e dove era necessaria un’attenta protezione dei confini; lì la funzione aggressività era più evidente.
La rabbia è qualcosa che ha le sembianze dell’aggressività ma ne è la connotazione disadattiva ovvero ha a che fare con un’esplosione incontrollata, violenta e spropositata prodotta da una contrarietà o da una delusione (Enciclopedia Treccani)
Come dice la Treccani “prodotta da una contrarietà o delusione”. In Gestalt la rabbia è considerata
un’emozione secondaria a due emozioni di base. Quali? Ora ci arriviamo.
2. Cause della rabbia
Se io ti do un pizzicotto forte forte sul braccio tu che fai? La prima cosa è tirare un Ahi! Fortissimo, perché provi dolore. La seconda qual è? Ti arrabbi! E minimo me ne dici quattro. Con questo esempio semplice voglio far notare come il dolore mi abbia fatto arrabbiare.
Parliamo ora della seconda emozione che sottostà alla rabbia.
Ti propongo un altro esempio semplice.
Metti che tu stia facendo una cosa che assorbe tutta la tua concentrazione e mentre tu sei assorto io ti vengo dietro le spalle silenzioso silenzioso ed a un tratto ti caccio un urlo dietro l’orecchio, tu che
fai? Fai un salto ed un grido dallo spavento, no?
E subito dopo? Ti arrabbi, no?
Per cui qui la rabbia genera dalla paura.
Allora, abbiamo visto due situazioni in cui la rabbia generava prima dal dolore e poi dalla paura.
3. Gestione della rabbia
Nella psicoterapia della Gestalt la rabbia viene vista come secondaria o al dolore o alla paura.
Questo può implicare il fatto che quando provo rabbia posso soffermarmi e chiedermi, cosa sto
provando, paura o dolore? All’inizio non è facile fare questo esercizio di consapevolezza ma almeno
potremmo chiederci: cosa mi potrebbe fare dolore o paura in questo momento della mia vita?
Tutto qua? E allora, dopo che lo so?
Ci sono due “medicine” secolari che ci aiutano per il passaggio successivo, ovvero per l’elaborazione del dolore e della paura.
Allora come posso trasformare la mia rabbia?
Il primo passo è comprendere cosa ci addolora o ci fa paura.
Una volta che ci rendiamo consapevoli che è dolore, per trasformare la rabbia dobbiamo passare per
consolazione
Possiamo chiedere consolazione a qualcuno o/e possiamo auto consolarci (se non siamo tanto bravi a chiedere).
E se dietro la rabbia c’è la paura? Dobbiamo passare per la rassicurazione auto ed etero riflessa.
Mentre il dolore è largamente accettato e condiviso nella cultura occidentale, lo è di meno la paura
non è raro sentir dire ai nostri bambini “dai, non avere paura!”.
Mentre il dolore ha a disposizione diverse ecologie di elaborazione culturali, la paura ne ha molto meno, il più delle volte ha l’adozione di comportamenti controfobici che hanno poco a che fare con
una buona qualità della vita.
4. La paura che fa arrabbiare
Una delle modalità funzionali di elaborare la paura è rappresentata dal seguente processo.
Innanzi tutto, bisogna individuare l’oggetto della paura. Spesso l’oggetto della paura è sfocato,
indefinito e quindi soggetto a maggior timore. Per esempio, se sono in un bosco e intravedo una figura ambigua che si muove tra i cespugli mi spaventerò molto, perché
può essere qualsiasi cosa, per esempio da un cinghiale inferocito, una volpe o
un cane e così via. Fatto sta che più l’oggetto è indefinito e più è soggetto alla proiezione delle nostre fantasie catastrofiche. Se, quindi mi soffermo bene ad osservare, posso identificare chiaramente chi ho difronte a me ed adottare il comportamento più adattivo in quella situazione: se vedo un cagnolino che scodinzola posso scegliere di accarezzarlo oppure no; se vedo un cinghiale inferocito posso scegliere la risposta più adattiva/consona (fuga, attacco, immobilizzazione).
Il primo passo, quindi, è identificare e analizzare l’oggetto della paura. Questo ci consente di poter adottare così una soluzione e di muoverci verso il comportamento più adattivo e quindi
rassicurante; la paura risulta quindi essere una emozione amica che ci consente di sopravvivere.
5. Comunicare la rabbia
In generale, il primo strumento principale di gestione di un’emozione è l’espressione, invece che reprimere o l‘agire, perché consente di scaricare l’emozione senza i rischi che si corrono nell’agito.
Per esempio, dire “io provo dolore” o “io provo paura” a qualcuno, consente di creare una distanza
abitabile ed estetica dal l’emozione stessa senza rimaner troppo appiccicati.
Inoltre, quando ci si trova a provare un’emozione scaturita dal comportamento di un’altra persona, si può esprimere l’emozione senza offendere, ferire o quant’altro. Dire “io provo dolore o paura o rabbia rispetto al tuo comportamento” è molto differente dal dire “tu mi fai dolore, paura o rabbia”. In realtà, noi siamo responsabili di ciò che proviamo. Infatti, di fronte allo stesso comportamento, si possono provare diverse emozioni. Quindi, quando io dico “tu mi fai arrabbiare” do all’altro la responsabilità della mia emozione; in questo caso è facile che anche l’altro ci risponda a tono. Mentre, se io dico “io provo rabbia di fronte al tuo comportamento” parlo di me e mi assumo la responsabilità della mia emozione; in questo caso è più facile che l’altro non si senta colpito in prima persona e recepisca il messaggio che gli voglio trasmettere.
Per cui, la rabbia agita non si riferisce solo a comportamenti fisici violenti, ma anche a
comportamenti verbali.
Pertanto, un conto è dire “Tu sei un cretino!”, un altro conto è dire “Io ho provato rabbia di fronte al
tuo comportamento”.
L’altro modo di elaborare la rabbia è il suddetto processo dolore/paura/rabbia dove si può approdare alla consolazione o alla rassicurazione come alternative alla rabbia.
Noi non possiamo controllare il sorgere di un’emozione ma possiamo controllare la loro accelerazione o decelerazione in quanto le emozioni sono fornite di freno e acceleratore controllabili dalla nostra volontà.
In tal senso ci si può dire “non sono in grado”, ma se io mi rendo almeno disponibile ad accelerare o decelerare si fa il primo passo fondamentale per la trasformazione della rabbia, come delle altre emozioni.
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