Articolo scritto dalla Dr.ssa Floriana Finocchiaro
1. Cosa intendiamo dire quando parliamo di malattia ad uno stadio terminale?
Il termine indica una malattia cronica degenerativa, oncologica e non oncologica, che non risponde più alle terapie che hanno come scopo la guarigione dalla stessa, che porterà il malato alla morte in tempi non sempre prevedibili.
A fronte di sintomi fisici specifici, quali: sonnolenza, stato confusionale, diminuzione dell’appetito, ecc… e di sintomi psicologici specifici, quali: ritiro psichico, rifiuto della socializzazione, sofferenza emotiva intensa vengono interrotte le cure precedenti ed introdotte le cure palliative, note anche come terapia del dolore, che mirano a migliorare la condizione degli ultimi periodi di vita.
Il paziente riceve ancora farmaci e si sottopone a terapie, ma queste hanno come obiettivo il controllo del dolore e la gestione dei sintomi. Ma quali sono le emozioni che si provano nel fine vita? Senso di solitudine, ansia, rabbia, paura, senso di colpa, disperazione e tristezza sono le principali emozioni che può provare la persona del fine vita. Parallelamente, esse possono essere vissute anche dai familiari. La teoria di Kubler-Ross sulle fasi del dolore può essere utile per analizzare la gestione del dolore nel malato terminale o nei suoi caregivers. Secondo lo studioso le fasi sono cinque, e non sono necessariamente sequenziali:
- Negazione: il paziente e/o i familiari rifiutano la diagnosi di malattia o la condizione di fine vita
- Rabbia: il paziente e/o i familiari provano rabbia, impotenza, paura.
- Patteggiamento: ci si incammina verso un senso di speranza, che consiste nel comprendere le proprie risorse e cosa si può ancora fare della propria vita.
- Depressione: aumenta la consapevolezza di malattia e dunque i vissuti sono di tristezza e sofferenza.
- Accettazione: si arriva alla completa consapevolezza e accettazione della propria condizione; si verifica un avvicinamento emotivo tra la persona in fine vita e i familiari.
2. Come la terapia psicologica può aiutare il malato terminale e i suoi familiari?
L’intervento psicologico e sociale nella malattia terminale è importante, come accompagnamento del paziente e dei familiari nelle varie fasi della malattia, sino alla morte. Il compito dello psicologo è quello di impostare un progetto di cura centrato sul paziente e sui suoi bisogni. Il suo lavoro è rivolto all’esplorazione della sua storia di vita e familiare, con l’obiettivo di individuare i significati e i valori che orientano le sue scelte attraverso il modo in cui vede il morire, e ciò che sta lasciando. Per quanto concerne invece i familiari, essi vanno accompagnati nella gestione dei propri vissuti nei confronti del parente in fine vita e successivamente al decesso, nell’elaborazione del lutto. Un supporto volto alla gestione del dolore fisico ed emotivo, al contenimento di stati d’ansia e/o depressivi, all’elaborazione di consapevolezze interne, all’analisi dei significati che il paziente stesso attribuisce ad un evento di vita come la morte, è l’obiettivo di una terapia ad orientamento psicodinamico, che miri a creare un clima di protezione e contenimento affettivo all’interno e all’esterno della relazione terapeutica.
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