Paura dell’abbandono: che cos’è e come superarla

Paura Dell'Abbandono: Che Cos'è e Come Superarla

Articolo scritto dalla Dr.ssa Mariagiada Angiolelli

Sia nella pratica clinica che nella vita di tutti i giorni, parlando tra amici ad esempio o guardando i post sui social, si sente spesso nominare la “paura dell’abbandono” a volte come una  sindrome e altre come giustificazione, ma qual’é il vero significato di questa specie di fobia?

1. Che cos’è la paura dell’abbandono?

Si definisce “abbandono” l’atto di lasciare definitivamente qualcosa o qualcuno, ma è anche sinonimo di rinuncia e trascuratezza.

In psicologia l’abbandono viene visto anche come un sentimento che è causa di disagio emotivo, che in alcuni casi può portare a veri e  propri disturbi psichici e vissuti depressivi più o meno gravi, con conseguenti strategie più o meno volontarie per impedire che tale vissuto si ripresenti nuovamente.

La paura dell’abbandono ha origine nell’infanzia o nella prima adolescenza e se non riconosciuta o elaborata può protrarsi fino all’età adulta, provocando sofferenza e angoscia estrema in chi la prova. In origine il bambino è un essere che dipende in tutto e per tutto dagli adulti che si prendono cura di lui, può capitare quindi che sperimenti la paura di essere stato abbandonato se il genitore non è immediatamente presente o responsivo, in questi casi è piuttosto normale provare questo sentimento, ma con l’andare dell’età e delle esperienze, un bambino cresciuto in un ambiente più o meno stabile apprende a cavarsela da solo e ad avviare quel processo che Margaret Mahler definiva di “separazione-individuazione”. Questo processo intrapsichico è caratterizzato da due percorsi di sviluppo intrecciati tra loro, ma che non sempre procedono in modo congruo. Si parla del processo di “individuazione” come quel percorso che permette l’evoluzione dell’autonomia, caratterizzata da un’autonomia nella percezione, nella memoria, nel pensiero e nell’esame di realtà, e si parla di processo di “separazione” come di un percorso di differenziazione dall’altro  ( genitore o adulto di riferimento ), allontanamento , impostazione di confini sani e svincolamento. Se questo processo si compie, l’individuo può essere se stesso, autonomo e separato persino dallo stesso individuo che lo ha generato.

Può accadere però che un bambino invece sperimenti vissuti prolungati di abbandono dovuti a separazioni definitive dagli adulti di riferimento, trascuratezza fisica ed emotiva o una scarsa sintonizzazione del genitore verso i suoi bisogni, iniziando così ad associare la figura importante all’instabilità.

Questa paura mai contenuta e rassicurata, a lungo andare si ripercuote sulle relazioni future che quel bambino sperimenterà in età adulta, soprattutto nella sfera sentimentale, portandolo così a sviluppare strategie compensatorie auto-sabotanti come ad esempio evitamento, controllo o rassegnazione.

1.1. strategie di auto aiuto sbagliate per gestire la paura dell’abbandono

Queste strategie di evitamento, controllo o rassegnazione volte a migliorare il proprio benessere per far fronte alla paura di essere abbandonati, va in realtà ad intensificare la paura stessa oltre che la credenza interiore di non essere capaci di fronteggiare non solo eventuali perdite che la vita inevitabilmente porta ma anche di potersela cavare in ogni situazione di difficoltà, in quanto alla base non si è sviluppata una robusta autostima.

Con l’evitamento l’individuo si convince che il legame porta inevitabilmente alla sofferenza e quindi evita a priori di legarsi sentimentalmente a qualcuno, in questo modo anche chi ha a che fare con questo individuo, sentendosi poco importante tende ad allontanarsi.

Con il controllo invece si avvia una relazione ma la si vive con un costante stato di allerta dovuto a fantasie catastrofiche che possano riguardare tradimenti, incidenti, morti improvvise e tutto ciò che è al di fuori del proprio controllo. Come risultato si ottengono comportamenti iper-vigilanti, sospettosi e iper-controllanti verso il partner, il quale sentendosi rivestito di poca fiducia può decidere di chiudere la relazione.

Nel caso della rassegnazione, si ha a che fare con un individuo che anziché vivere nel presente e godersi ciò che accade giorno per giorno col proprio partner, sperimenta una continua tristezza anticipatoria che lo priva della gioia e porta il partner a stancarsi.

Questi comportamenti, pur essendo delle strategie difensive funzionano in realtà come vere e proprie profezie che si auto-avverano, in quanto portano inevitabilmente alla separazione temuta andando così ad amplificare la paura sottostante.

1.2. Una variante della paura dell’abbandono: la paura di morire da soli

Una variante della paura di essere abbandonati è quella di morire da soli, ovvero di  non avere nessuno accanto non solo per un’intera vita ma anche durante la parte finale della stessa. 

In questa variante, l’individuo è ossessionato da un futuro sempre uguale al presente, che si muove su un asse che va verso il basso e che non può subire delle modificazioni o dei cambi di traiettoria. C’è come una certezza che qualsiasi cosa si tenti di fare, sia inutile e che inevitabilmente si proverà sempre e solo tristezza e solitudine.

Questa paura può portare non solo ad un umore basso per la maggior parte del tempo ma anche ad angoscia, incubi e risvegli tumultuosi in cui non vedendo nessuno accanto a sé non vi è modo per acquietare e rassicurare quella paura.

Normalmente è un timore che sperimentano le persone sole, ed è errato pensare che riguardi solamente persone in là con l’età, è una paura che colpisce soprattutto i giovani e i single che hanno superato una fase spensierata di vita.

È una paura fatta di domande, dubbi e incertezze sul futuro, che richiede fattori di protezione difficili da individuare e che richiede una rete sociale importante e supportiva.

2. Come superare la Paura dell’Abbandono

Dato che le strategie di auto-aiuto risultano essere inadeguate e inefficaci, si ritiene che la psicoterapia sia la soluzione migliore. 

Essere abbandonati è una paura infantile che ha motivo di esistere in quanto un bambino in assenza di qualcuno che si occupi di lui e dei suoi bisogni, corre davvero un grave pericolo per la sua vita, anche un cane lasciato su una tangenziale o su un ciglio di un burrone può sperimentare un vero abbandono, un adulto che ha tutte le carte in regola per sostenersi da solo non corre lo stesso rischio e la stessa minaccia alla sua stessa vita, cambiare questa visione delle cose e prendere consapevolezza che si tratta di un’emozione e non di un reale pericolo è fondamentale.

Grazie alla psicoterapia si andranno ad affrontare queste paure, l’origine delle stesse e delle strategie più funzionali, con le quali far fronte ad emozioni e atteggiamenti auto-sabotanti. Con la psicoterapia si potrà inoltre finalmente attraversare quel processo di “separazione-individuazione” mai avvenuto correttamente, che porterà l’individuo ad aumentare la propria autostima e iniziare a credere di potercela fare da solo in qualsiasi situazione della vita.

Un altro beneficio sarà quello di interrompere il ciclo di credenze limitanti e cercare un dialogo interiore ed esteriore col proprio partner, cercando situazioni via via più tollerabili. Fondamentale inoltre sarà lavorare sul vuoto interiore e sulla propria autonomia e immagine di sé, in quanto adulti capaci di auto-sostenersi e auto-donarsi bisogni e desideri, superando e andando oltre  la visione di sé come un infante bisognoso di cure genitoriali.

3. Come affrontare la paura dell’abbandono con la terapia psicologica

La paura dell’abbandono non è un vero e proprio disturbo, quanto piuttosto una sindrome caratterizzata da sintomi ansiosi e pensieri limitanti.

I vari approcci terapeutici soprattutto se integrati possono aiutare molto la persona a fronteggiare questa paura che a volte si trasforma in una vera e propria fobia.

Tra gli approcci più indicati si può trovare ad esempio l’EMDR, ovvero la terapia per la desensibilizzazione e il ritrattamento dei movimenti oculari, la quale in presenza di un eventuale trauma, come quello abbandonico o di trascuratezza, può aiutare a cambiarne i contenuti e il valore stressogeno.

La terapia cognitivo-comportamentale, è un approccio evidence based che può aiutare la persona a modificare le credenze limitanti e i pensieri disfunzionali derivanti da un costrutto mentale irrealistico che la persona ha elaborato a seguito di un evento traumatico.

Con la terapia della Gestalt, invece, si può lavorare sull’”adattamento creativo”, ovvero sul trovare nuovi modi per gestire le situazioni stressanti e guardarle da nuovi punti di vista non ancora considerati, dandone un nuovo significato. Ma si può anche lavorare sul corpo e sulle sensazioni di ansia che questa paura manifesta.

Essendo una difficoltà più che una malattia, un approccio di tipo integrato è quello più consigliabile, ma soprattutto è l’alleanza terapeutica a fare la vera differenza, in quanto la persona impara a instaurare una nuova relazione del tutto sana e funzionale, che funziona da vero e proprio modello relazionale in cui non vi è abbandono quanto piuttosto una “distanza abitabile”.

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