Articolo scritto dalla Dr.ssa Chiara Andriani
Il rischio suicidario rappresenta da molti anni un fenomeno clinico rilevante. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha riscontrato che quasi 1 milione di persone al mondo muore ogni anno per suicidio, che corrisponde all’incirca a un morto ogni 40 secondi.
I dati sono allarmanti, ma la prevenzione è possibile, a partire da una maggiore consapevolezza del fenomeno, dei segnali di allarme, e ricordando che un’alternativa può esistere.
1. Che cosa sono i pensieri suicidari?
I pensieri suicidari fanno riferimento al pensare o al pianificare il suicidio, passando da essere delle considerazioni momentanee ad ideazioni che prevedono un piano di azione.
Risulta quindi importante riconoscere come possono manifestarsi e quali sono gli indicatori di rischio, in modo tale da potersi rivolgere il prima possibile a uno specialista in grado di fornire aiuto.
Qualsiasi espressione di pensiero suicidario va presa in considerazione, in quanto il rischio è quello che si concretizzi in ideazione suicidaria, ovvero la pianificazione del suicidio, o nel comportamento suicidario vero e proprio.
2. Pensieri suicidari: i segnali
I principali segnali di allarme a cui prestare attenzione sono:
- ritiro sociale e isolamento,
- presenza di umore deflesso o di repentini cambi di umore,
- pensieri riguardanti il farsi del male,
- disturbi del sonno,
- cambiamento della propria routine quotidiana e delle proprie abitudini.
Elementi che spesso emergono sono sensazione di sconforto e di disperazione, la presenza di un’insopportabile sofferenza psicologica che si associa al non vedere una possibile via di uscita al proprio dolore e al malessere se non quella del suicidio, e l’impressione di essere un peso per gli altri.
Questi pensieri sono quindi indice di una condizione di forte dolore e infelicità, che possono spingere la persona a chiudersi in sé stessa andando così a innescare un circolo vizioso: soffro e quindi mi isolo, mi isolo e quindi fatico a vedere alternative alla mia sofferenza.
Aprirsi e iniziare a parlare riguardo a questi pensieri con uno specialista permette di sentirsi meno soli in un momento così delicato e di affrontare il proprio dolore grazie anche a una co-costruzione di una visione alternativa.
3. Le possibili cause dei pensieri suicidari
Come si è potuto evincere i pensieri suicidari possono essere celati da diverse manifestazioni.
Ma quali sono le cause?
La risposta a questa domanda non è semplice, in quanto i dati che si hanno in merito provengono per lo più da informazioni derivanti da chi ha tentato il suicidio ed è sopravvissuto, e dall’analisi e dalla comprensione di fattori comuni presenti in chi lo ha commesso.
I pensieri suicidari possono derivare da molteplici fattori, che comprendono:
- un’esigenza della persona di far cessare il dolore fisico e/o emotivo provato
- un senso di impotenza davanti a situazioni di vita complicate e stressanti
- presenza di disturbi psicopatologici (quali Disturbo Depressivo Maggiore, Disturbi Bipolari, Disturbi di Personalità)
- abuso di alcool e/o di sostanze
- pregressa storia familiare di suicidio o di problemi psichiatrici
- esperienze di abuso e/o maltrattamenti
Tra questi fattori elencati, la depressione rappresenta il fattore più comune che contribuisce ai pensieri suicidari e ai tentativi di suicidio.
4. Come superare i pensieri suicidari
E quindi come si può intervenire?
Innanzitutto se si è a conoscenza di una persona con pensieri suicidari o che mostra segnali di allarme è importante inizialmente provare a instaurare un dialogo caratterizzato da ascolto empatico e non volto a dare consigli. L’obiettivo è quello di non fare sentire il nostro caro da solo nella sua sofferenza e incoraggiarlo a chiedere aiuto rivolgendosi a uno specialista.
E’ importante sottolineare inoltre la presenza di diversi fattori protettivi che possono ridurre il rischio di sviluppare disturbi e relativi pensieri suicidari.
Tra questi troviamo:
- Esercizio fisico: uno stile di vita sano e l’esercizio fisico sono considerati un antidepressivo naturale. E’ stato infatti dimostrato che consente un miglioramento del tono dell’umore e una riduzione di stati ansiosi e dello stress. Inoltre fare esercizio fisico comporta la produzioni di ormoni, quali l’endorfina, il cosiddetto “ormone della felicità”.
- Ridurre l’isolamento: è importante mantenere e consolidare rapporti con la propria rete sociale, in quanto la solitudine è un fattore di rischio. Il poter contare su amici e parenti, specie nei momenti di difficoltà, risulta essere un ottimo fattore protettivo nella possibilità di sviluppare pensieri suicidari.
- Limitare il consumo di alcool: secondo un pensiero comune, l’alcool può alleviare momenti di stress e vulnerabilità. In realtà, al contrario, ha un effetto depressivo, riduce l’autocontrollo e aumenta l’impulsività.
5. Cura e trattamento per i pensieri suicidari
Il trattamento dei pensieri suicidari può comprendere un intervento psicoterapico, assocciato, se necessario a un supporto farmacologico, accompagnato da sostegno e assistenza alla famiglia.
A livello psicoterapeutico, il trattamento è mirato ad aiutare la persona in caso di presenza di umore deflesso, Disturbo Depressivo Maggiore e Disturbi della Personalità.
Per quanto riguarda la deflessione del tono dell’umore, la presenza di sintomi depressivi e/o di Disturbo Depressivo Maggiore, gli studi hanno dimostrato l’efficacia della terapia Cognitivo Comportamentale. Secondo questo approccio il trattamento si concentra sui pensieri e le emozioni della persona, dando rilevanza al fatto che è il contenuto dei nostri pensieri a guidare lo stato emotivo e il nostro comportamento. L’obiettivo è quindi quello di lavorare sui pensieri e sulle strategie da poter mettere in atto, con la finalità di tornare a provare emozioni più funzionali al proprio benessere.
Per quanto riguarda invece i Disturbi di Personalità, il trattamento di elezione è la terapia Dialettico Comportamentale (DBT), in particolare per quanto riguarda il Disturbo Borderline di Personalità. Il cardine dell’intervento è la disregolazione emotiva, intesa come una difficoltà nella gestione e regolazione delle emozioni.
Gli obiettivi sono: accettazione e atteggiamento empatico nei confronti della sofferenza, e rafforzare la capacità di produrre un cambiamento, grazie anche a tecniche di problem solving e l’incremento di abilità sociali.
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