Articolo scritto dalla Dr.ssa Chiara Stella Ferroni
Ti sei appena sdraiata/o nel letto, magari dopo una giornata faticosa, e probabilmente riesci subito a prendere sonno, ma verso le due o le tre di notte, come se ci fosse una specie di orologio interno, ti svegli e, nonostante le condizioni ambientali confortanti del tuo comodo letto, della tua stanza in penombra e della sicurezza della tua casa… la mente parte con una specie di trailer sugli eventi futuri, della mattina dopo al lavoro, dell’incontro con la X persona che immancabilmente ti farà innervosire, e di quello che dirai e farai o del mutuo che devi pagare e delle scadenze che ti aspettano… E via, si è partiti/e in questo viaggio mentale, del tutto staccato dal momento presente, dal conforto di quello che ci circonda, lì e ora, per andare verso ciò che di più incerto c’è, il futuro, immediato o lontano che sia.
Questo è uno dei tanti modi in cui il nostro cervello ha imparato ad adattarsi alle situazioni percepite come avverse, minacciose, fin dai nostri antenati, millenni fa: anticipare i possibili disagi e cercare di prepararsi ad essi.
Se questo ha permesso la sopravvivenza della nostra specie, che non si andava aggirando per la savana allegramente e ottimisticamente, pensando che “andrà tutto bene”, ma scrutava movimenti e rumori, in uno stato interno di tensione, di allerta, e si preparava in anticipo a quel viaggio in mezzo ai pericoli, per meglio equipaggiarsi, di armi, di compagni della stessa tribù, oggi, nel 2022, nella sicurezza della nostra casa, alle tre di notte, il seguire la mente nei suoi tentativi di controllo e previsione fa solo emergere intense emozioni come l’ansia e tutta una cascata chimica nel corpo che possiamo genericamente definire come “risposta allo stress”.
1. Lo stress e le sue conseguenze negative
Per la zebra, e per la maggioranza degli altri animali, gli eventi più critici che affrontano nella loro vita sono le crisi di tipo fisico e acute, vivono cioè stress come l’inseguimento di un predatore che provocano una crisi a breve termine, ma subito dopo finisce lo stress.
Invece per noi umane/i il sistema fisiologico, che si è sviluppato ugualmente per rispondere a emergenze fisiche acute come gli stress, lo attiviamo per lunghi periodi, con le nostre preoccupazioni per il mutuo, per le relazioni, per il lavoro… e questo attivare la risposta allo stress in anticipo rispetto a quello che percepiamo come minaccia ci differenzia dalla zebra, per la quale questi aspetti psicologici e sociali non hanno significato
Lo spiega magistralmente Robert Sapolsky, professore di Biologia e Neurologia alla Stanford University e ricercatore associato presso l’Institute of Primate Research dei Musei Nazionali del Kenya, nel suo libro “Perché alle zebre non viene l’ulcera?” edito da Castelvecchi (2018). Si tratta essenzialmente di un manuale sullo stress, sulle malattie legate allo stesso stress ma anche sui meccanismi che consentono di affrontarlo.
1.1 Stress anticipato: potenziale causa dell’ulcera
Secondo quindi gli studi e le ricerche presentate dal prof. Sapolsky in questo campo, il risultato di tanto stress “anticipato” e che rimane attivo per lungo tempo, per ragioni che non riguardano la nostra sopravvivenza fisica, ma che sono di natura psicologica e relazionale, può arrivare a farci venire l’ulcera, cosa di fatto impossibile per una zebra.
Le fonti di stress vengono chiamate “stressor”, ma che cosa sono? Possono es
sere qualsiasi elemento del mondo che ci circonda che fa perdere al nostro corpo quello che viene chiamato “equilibrio omeostatico”, ossia quel livello ideale di ossigeno, di acidità, di temperatura, etc., di cui il nostro corpo ha bisogno. La risposta allo stress è quindi il modo in cui il nostro corpo reagisce per ristabilire questo equilibrio.
1.2 Stessa risposta a prescindere dallo Stressor
Nel modo raffinato con cui il nostro corpo agisce e reagisce ci sono anche meccanismi di aggiustamento da parte del nostro cervello, che arrivano pure ad anticipare possibili modifiche dei livelli di equilibrio interno, secernendo certi tipi di ormoni, inibendone altri, attivando particolari zone del sistema nervoso, e così via. E a prescindere dal tipo di stressor, che siano ferite, la fame, o stress di tipo psicologico, il corpo attiva la stessa risposta:
- mobilizza energia da zone in cui l’ha immagazzinata e ne inibisce l’accumulo nelle stesse zone;
- interrompe i progetti di costruzione dispendiosi a lungo termine;
- riduce la crescita e la riparazione dei tessuti;
- inibisce il sistema immunitario;
- attutisce la percezione del dolore;
- modifica, nel lungo termine, le capacità cognitive, come con la riduzione della memoria, e acuisce invece quelle sensoriali.
Si intuisce facilmente che con risposte prolungate di questo tipo, ad esempio rimandando progetti di costruzione e non mobilizzando energie, le stesse risposte diventano più dannose degli stressor a cui il nostro corpo cerca di reagire.
In questo scenario, che sembrerebbe molto poco rassicurante, il prof. Sapolsky arriva però a sottolineare un importante punto: gli stressor, ossia le fonti di stress, per quanto importanti, ripetitive o croniche, non portano automaticamente alla malattia, perché alcune persone e alcuni meccanismi che possiamo mettere in atto fanno sì che con lo stesso identico stressor alcune persone sviluppano una malattia mentre altre no.
E a questa parte dedica la parte finale del libro dopo aver esaminato nel dettaglio molti interessanti temi:
- gli ormoni e i sistemi cerebrali coinvolti nella risposta allo stress;
- i singoli sistemi del corpo che si vedono chiamati in causa;
- le interazioni tra stress e sonno, per cui evidenzia il circolo vizioso dello stress che disturba il sonno e del mancato sonno che diventa uno stressor;
- il ruolo dello stress nel processo di invecchiamento;
- il motivo per cui lo stress psicologico è stressante, andando poi ad addentrarsi nei legami tra stress e depressione, tra stress e ansia e infine tra stress e tipi di personalità;
- le situazioni in cui lo stress è positivo, analizzando le interazioni tra il senso di piacere che può derivare da alcuni stressor e il processo di assuefazione;
- i legami che il posto nella società e il tipo di società hanno con le tipologie di malattia da stress.
2. Come gestire lo stress perché non risulti dannoso
Dunque c’è una buona notizia: nonostante i tanti modi in cui lo stress può farci ammalare a livello fisico e mentale, non tutti arriviamo a stare male.
A prova di questa buona notizia esistono, ad esempio, le osservazioni fatte dagli studiosi circa il cosiddetto “invecchiamento di successo”, ossia le evidenze trovate in laboratorio per cui alcuni sottoinsiemi di soggetti (in questo caso topi) non avevano degenerazioni ad esempio della memoria che, invece, solitamente si pensa sia parte inevitabile del processo d’invecchiamento. Oltre a fattori sicuramente genetici, è stato visto che ad influenzare questo “invecchiamento di successo” era stato il modo in cui i soggetti avevano vissuto la loro infanzia nell’interazione materna, in particolare quanto erano stati “maneggiati”, quindi accuditi, leccati, curati, nelle prime settimane di vita.
Al di là però di questa fortuna di aver ricevuto nella nostra infanzia un accudimento “sufficientemente buono”, come diceva Winnicott, quello che il prof. Salposky ci evidenzia (che ha che a fare con la differenza nel vederci ammalare o no per stress) è il modo con cui reagiamo agli stressor e, per questo, mette in luce alcuni modi con cui facilitare questo cambiamento.
2.1 Possibili reazioni agli Stressor
Alcuni modi positivi di gestire lo stress cambiano l’impatto degli stressor sia sul piano fisiologico che su quello psicologico. Alcune di questi come il grado di controllo che sentiamo di avere di una certa situazione dolorosa o difficile, oppure quanta prevedibilità abbiamo di ciò che accadrà, hanno dei pro e contro, a seconda ad esempio di quanto qualcosa si possa effettivamente controllare perché, per esempio, esistono altre persone e situazioni che possono subentrare in una data vicenda e l’idea di poter avere il controllo di tutto “se solo lo vogliamo, se solo ci impegniamo” rischia di avere una serie di conseguenze negative sulla nostra mente, una fra tutte il senso di colpa e di impotenza.
Quello che Salposky afferma di importante è che “le nostre percezioni e interpretazioni degli eventi possono determinare se le stesse circostanze esterne costituiscano il paradiso o l’inferno” solo in “una certa misura” (pag. 367), ossia, la gestione dello stress può riguardare l’applicazione di una tecnica piuttosto che un’altra solo se le sfide che stiamo cercando di affrontare non sono disastrose. Non possiamo cioè andare a proporre una tecnica di gestione dello stress a un senzatetto disperato o a un malato terminale di cancro.
2.2 Strumenti di gestione dello Stress
Due strumenti nella gestione dello stress che l’autore ci evidenzia sono:
- l’esercizio fisico: migliora l’umore e attutisce la risposta allo stress per alcune ore o per un giorno dopo l’attività, ma solo finché è qualcosa che vogliamo fare, che ci piace, non per forza, e deve avvenire su base regolare, per un periodo prolungato, ma senza esagerare;
- la meditazione: se fatta regolarmente e prolungata, ossia almeno 15/20 minuti al giorno, riduce i livelli di glicocorticoidi (il segnale chimico dello stress nel corpo) e il tono del sistema nervoso simpatico (la parte del sistema nervoso legata a risposte di lotta, fuga, congelamento per la minaccia percepita), può avere quindi effetti molto positivi a livello fisiologico e mentale.
Al di là di strumenti particolari, una capacità da tenere a mente e allenare evidenziata da Salposky è l’avere la flessibilità di cambiare strategie. L’autore ci spiega infatti che di solito, come umane/i, se ci accade qualcosa di spiacevole e il nostro modo di reagire non funziona, una risposta comune è quella di insistere con più impegno, ma nel solito modo, cosa che è raro che funzioni. Invece, durante i periodi di stress, garantisce maggiore successo cercare una nuova modalità di affrontare quel determinato problema, che, sebbene molto difficile, è quello che serve davvero.
Altri modi sottolineati da Salposky nel suo libro su come reagire allo stress in modo utile per una sua gestione sono:
- cercare il controllo di fronte a fonti di stress attuali, del momento presente, evitare invece di controllare cose passate o eventi futuri che sono di fatto incontrollabili oppure evitare di cercare di sistemare cose che non sono rotte o che sono rotte in modo irreparabile;
- cercare informazioni accurate e prevedibili può essere utile, ma non se queste informazioni le abbiamo troppo presto o troppo tardi rispetto all’evento stressante, oppure se non sono necessarie o se sono troppe perché sarebbero stressanti di per sé;
- trovare uno sfogo per le proprie frustrazioni è utile ma bisogna fare attenzione che sia positivo per chi ci circonda, bisogna evitare cioè di prendersela con chi ci sta accanto, anche se può farci sentire meglio dopo, ma le conseguenze nella relazione sarebbero fonte di altro stress nel futuro immediato o lontano;
- cercare il sostegno sociale perché rende meno stressanti gli stressor, anche se tutto dipende dal tipo di relazioni che abbiamo: se sono semplici rapporti sociali non può essere sufficiente, così come se sono rapporti difficili e pieni di conflitti il sostegno che se ne può avere non rappresenta più un reale fattore di miglioramento dello stress. Quello che è importante quindi è che sia da parte di una rete di amici davvero buona o provenga da una persona che sia giusta per noi. Ma “una delle qualità del sostegno sociale che più riduce lo stress consiste nell’atto di offrire tale sostegno, di essere necessari” (pag. 369) ci sottolinea Salposky.
Per concludere, l’invito dell’autore è quello di credere nel nostro potenziale e trovare modi per riscattarci da una fisiologia interna che ci ha penalizzato nel vivere le fonti di stress in modo così anticipato e prolungato rispetto alle altre specie di animali, provando prima di tutto a trovare nuove strategie e assumere quindi un nuovo modo di relazionarci allo stress quotidiano.
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