Articolo scritto dalla Dr.ssa Martina Carisio
Dipendenza affettiva, codipendenza, relazioni tossiche, simbiosi… quanto spesso si sentono usare queste espressioni per descrivere le relazioni che alcune persone stanno vivendo? Recentemente si tende sempre di più a parlare di relazioni in questi termini, molto spesso in forma colloquiale e confidenziale, con il rischio che si generi molta confusione rispetto ai loro significati.
Per cercare di fare chiarezza, in questo articolo ci occuperemo nello specifico di uno di questi concetti: la codipendenza.
1. Co-dipendenza: che cos’è? Breve storia di questo termine
Il termine “codipendenza” è nato negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, a partire dai gruppi di Alcolisti Anonimi. Furono infatti i parenti degli alcolisti che, durante il percorso riabilitativo di questi ultimi, iniziarono a comprendere che loro stessi soffrivano di un disturbo emotivo che richiedeva uno specifico trattamento. Si iniziò quindi a studiare la codipendenza, a partire dai problemi di alcolismo, dipendenza e violenza intrafamiliare.
Negli anni Ottanta invece alcuni terapeuti familiari descrivevano con il termine codipendente tutte le persone che convivevano con un soggetto che presentava una dipendenza.
È risultato difficile nel corso degli anni e degli studi che venivano condotti, dare al costrutto di codipendenza una definizione unica: alcuni autori, infatti, la consideravano una psicopatologia individuale, altri come l’insieme delle caratteristiche di personalità nei figli adulti di genitori alcolisti, altri ancora come un modello disfunzionale nelle relazioni interpersonali.
Nel primo caso la codipendenza veniva considerata come una sindrome facente parte dei disturbi di personalità, descritta quindi con specifiche caratteristiche utili alla diagnosi. Studi successivi hanno tuttavia messo in dubbio la validità dei criteri previsti per questo disturbo.
La codipendenza come insieme di caratteristiche di personalità nei figli adulti di alcolisti è stata invece considerata come un problema che si trasmette di generazione in generazione nelle famiglie. Alcuni autori sostenevano infatti che si trattasse di un problema che influenzava lo sviluppo della personalità, tale per cui i figli di persone alcoliste si abituavano a vivere in situazioni di conflitto e confusione, rischiando di riprodurre le stesse dinamiche nelle future famiglie una volta cresciuti. Potevano cioè diventare alcolisti a loro volta o avere relazioni sentimentali con persone alcoliste. Quella che poteva sembrare una relazione di causa-effetto non è stata tuttavia confermata come tale.
Gli autori che consideravano la codipendenza come modello nelle relazioni interpersonali hanno invece concentrato i loro studi sulle caratteristiche della relazione piuttosto che su quelle della persona codipendente. Questo approccio teorico ritiene che la codipendenza sia una sindrome di personalità paragonabile al vivere l’amore come dipendenza, ma per la quale non è possibile fare una diagnosi così chiara. Si definisce invece codipendente una persona coinvolta in una relazione che utilizza iperprotezione e cure difensive nei confronti di un partner manipolatore, irresponsabile e distruttivo.
Ecco allora una delle più recenti e complete definizioni di codipendenza considerata come un modello disfunzionale di relazione: “Disturbo di relazione dipendente dal proprio partner, caratterizzato da frequente insoddisfazione e sofferenza psicologica, laddove la persona si impegna a soddisfare i bisogni del partner e quelli altrui, senza prendere in considerazione i propri. È associato a processi di negazione, costruzione incompleta dell’identità, inibizione emozionale ed alla predisposizione a salvare l’altro”.
2. Tratti e caratteristiche: il codipendente tipo
Considerando la codipendenza come un modello disfunzionale di relazione, non è così semplice capire se la persona è codipendente. Questi soggetti infatti sono tendenzialmente persone buone, che aiutano gli altri con devozione, e anche per questo sembrano infatti persone “normali”, sane.
Tuttavia, la sofferenza di queste persone è molto più profonda di quanto appare invece in superficie, agli occhi degli altri.
Il codipendente è infatti devoto alla cura di soggetti dipendenti. Vive per soddisfare i bisogni degli altri, mettendo così in secondo piano i propri. Tende infatti a compiacere, così può pensare solo agli altri, e ha per questo difficoltà a prendere decisioni.
Non esprime le sue emozioni, le sue sensazioni e i suoi sentimenti, ma, al contrario, cerca di essere comprensivo con tutti. Esprimere i propri vissuti per il codipendente equivale a generare problemi e perdere l’accettazione delle altre persone.
L’atteggiamento salvifico che ha nei confronti degli altri, porta il codipendente ad avere comportamenti e atteggiamenti che ambiscono al perfezionismo, a lavorare eccessivamente e ad assumersi responsabilità esagerate, tanto che poi si trova ad essere iper coinvolto in situazioni spiacevoli o a sentirsi esausto.
Spesso nella sua storia personale e infantile la persona codipendente si è trovata ad assumere precocemente il ruolo di uno dei genitori: è così cresciuta in fretta e con responsabilità non congrue alla sua età. Ha quindi iniziato già da bambino a prendersi cura degli altri, a partire proprio dai genitori, con la speranza che prima o poi qualcuno avrebbe soddisfatto anche i suoi bisogni di ricevere cura, sostegno, protezione e amore.
Tutte queste dinamiche e questi comportamenti vengono messi in atto dalla persona codipendente per la paura dell’abbandono e di perdere l’accettazione degli altri. Silenzio, solitudine, desolazione, vuoto sono sentimenti che accompagnano i vissuti del codipendente. La paura di restare soli e di perdere la relazione con l’altro sono così profondi che possono manifestare anche panico, somatizzazioni, vissuti depressivi, esperienze dissociative.
La persona codipendente nega la paura, non la può sentire, perché ne rimarrebbe profondamente destabilizzata, e tutti i comportamenti rivolti agli altri le permettono di sentirsi amata e apprezzata dagli altri.
La codipendenza può essere quindi definita come una particolare forma di dipendenza affettiva e relazionale: sono infatti le due facce della stessa medaglia.
La dipendenza affettiva riguarda una relazione in cui il partner non sempre ha particolari problemi, mentre nella codipendenza la relazione si instaura con una persona che sicuramente ha a sua volta una dipendenza patologica.
3. La co-dipendenza nelle relazioni sentimentali
L’Analisi Transazionale, che è una teoria della personalità e un modello psicoterapeutico sviluppato da Eric Berne negli anni Sessanta, ha tra i suoi concetti cardine quello di “Stati dell’Io”.
Questi ultimi vengono definiti dall’autore come un sistema compatto, costituito da pensieri, sentimenti, comportamenti e atteggiamenti. Gli Stati dell’Io, che formano la personalità di ognuno, sono suddivisi in Stato dell’Io Genitore, Stato dell’Io Adulto, Stato dell’Io Bambino. Il primo riguarda l’insieme di atteggiamenti, pensieri, comportamenti ed emozioni che la persona ha introiettato dalle figure genitoriali e da coloro che l’hanno accudita sin dall’infanzia; in questo Stato dell’Io rientrano anche le regole, i valori e i principi appresi in famiglia e nel contesto sociale e culturale.
Lo Stato dell’Io Adulto invece si “occupa” della realtà, del presente e si attiva, o energizza, con l’autoconsapevolezza; ha il compito di analizzare le situazioni e di rispondervi in modo adeguato.
Lo Stato dell’Io Bambino infine riguarda emozioni, pensieri e sentimenti tipici di bambini, ed è stato definito da Berne come “le reliquie dell’infanzia dell’individuo”, poiché conserva tutte le tappe di sviluppo della persona. Fanno inoltre parte di esso la creatività, la spontaneità e i bisogni.
La personalità degli individui si sviluppa nel corso del tempo, attraverso alcune tappe evolutive.
Sin dalla nascita il bambino instaura con la madre una relazione simbiotica, che, a partire da ragioni biologiche, gli permette di sopravvivere. Questa relazione assume infatti il nome di simbiosi fisiologica o necessaria, ed è naturale tra la madre e il bambino in quanto quest’ultimo necessita del genitore che si occupa totalmente di lui, soddisfando tutti i suoi bisogni, a partire da quelli primari di nutrimento e accudimento. Il bambino, infatti, alla nascita ha solo lo Stato dell’Io Bambino, non ancora del tutto formato, mentre gli Stato dell’Io Adulto e Genitore non si sono ancora sviluppati. Il compito della madre è proprio quello di colmare questa mancanza del bambino con i suoi Stato dell’Io, che sono invece tutti presenti e formati. La madre e il bambino risultano così complementari, come se fossero una persona sola.
Crescendo il bambino inizierà gradualmente a separarsi e individualizzarsi, terminando così la fase di simbiosi.
Questo processo di sviluppo non è tuttavia sempre lineare: a volte infatti la simbiosi può continuare, altre ancora interrompersi bruscamente.
La codipendenza si sviluppa proprio come conseguenza di un’interruzione delle tappe di sviluppo dell’infanzia che il bambino non riesce a completare a causa di eventi e situazioni che lo circondano e lo portano a comportarsi precocemente come un adulto. Quando il bambino cresce in un ambiente caotico e con genitori poco presenti e poco accudenti, assumerà il ruolo di adulto per proteggersi e per proteggere le persone adulte di riferimento intorno a sé. I comportamenti e i vissuti tipici della codipendenza si sviluppano proprio a partire da queste situazioni: il bambino imparerà a non sentire la paura e inizierà a prendersi cura degli altri al fine di soddisfare così il suo bisogno di protezione e di evitare la separazione da una relazione significativa. Tutto ciò continuerà a riproporlo anche nelle successive relazioni una volta diventato adulto: tenderà quindi a energizzare principalmente i suoi Stato dell’Io Adulto e Genitore per occuparsi dello Stato dell’Io Bambino dell’altro, così che insieme formeranno un’unica persona, una sola personalità con tutti e tre gli Stato dell’Io. È per questo che la simbiosi patologica è quindi una simbiosi non risolta, e di conseguenza la codipendenza è un problema legato allo sviluppo incompleto dell’identità.
Funzionando come una persona incompleta, il codipendente cercherà il completamento nell’altra persona e stabilirà così relazioni di coppia non paritarie e prive di rispetto e contatto, non riuscendo a separarsene nemmeno quando la relazione è distruttiva.
A partire dai concetti di “copione di vita” e “giochi psicologici”, in Analisi Transazionale il concetto di triangolo drammatico permette di leggere le interazioni e le dinamiche relazioni tra le persone.
Questo concetto spiega che i ruoli che si possono assumere nelle dinamiche relazioni sono tre, corrispondenti ai tre vertici di un triangolo rovesciato: Persecutore, Salvatore, Vittima.
Dato che la codipendenza è un modello disfunzionale delle relazioni, e date le sue caratteristiche tipiche, il principale ruolo che la persona codipendente assumerà sarà quello del Salvatore, che le permetterà così di aiutare la Vittima.
I ruoli del triangolo drammatico non sono tuttavia così stabili, ma all’interno della dinamica relazionale possono cambiare e i soggetti coinvolti possono così passare da uno all’altro. Il Salvatore, se non riesce nel suo intento, può passare ad assumere il ruolo di Persecutore, diventando ipercontrollante, per terminare poi la dinamica relazionale nel ruolo di Vittima, così da soddisfare il suo bisogno di dipendenza.
A prescindere da come si evolverà la dinamica relazionale, la persona codipendente si relazionerà all’altro sempre a partire dal ruolo di Salvatore.
4. La co-dipendenza con sé stessi
La codipendenza non si manifesta solo nella relazione con l’altro, ma anche con sé stessi. Se viene interiorizzata, così come la dipendenza, questa modalità disfunzionale di relazione causerà un’estenuante lotta interiore.
Il codipendente alternerà quindi un’ipersensibilità a un blocco emozionale, un pensiero ossessivo a una negazione, comportamenti compulsivi a comportamenti passivi.
La persona non riuscirà quindi a sentirsi in pace né congruente con sé stessa e gli altri.
Questo accadrà proprio perché codipendenza e dipendenza sono i lati di una stessa medaglia: anche se il codipendente si occupa di soddisfare i bisogni altrui, ha comunque dentro di sé una parte dipendente che non ha potuto ascoltare poiché è cresciuto troppo in fretta, e che continua ad aspettare che qualcuno si prende cura di lui.
Si può leggere la codipendenza con la metafora di una casa: l’essere codipendente equivale ad abitare la relazione come se fosse una casa che non è la propria.
5. Si può uscire dalla co-dipendenza?
La persona codipendente è devota ad occuparsi dei bisogni dell’altro, e seppur questo a volte può apparire un aspetto benevolo della persona, esso in realtà nasconde i motivi di questo comportamento.
La persona codipendente ha infatti paura dell’abbandono e tutto ciò che fa è finalizzato a non percepire la solitudine, il vuoto, l’angoscia per la perdita, al costo di opprimere e negare i propri bisogni.
Le radici della codipendenza creano grande sofferenza, ma attraverso un percorso di psicoterapia la persona può uscire da questa condizione, interrompendo la relazione disfunzionale.
Con la psicoterapia si può acquisire maggior consapevolezza grazie ad un processo di accettazione e crescita: la persona codipendente ha bisogno di smettere di svalutarsi e di prendere in considerazione i propri bisogni, con la finalità di recuperare il proprio potere e la capacità di dare una direzione alla propria vita.
Nella relazione terapeutica la persona potrà imparare che può rimanere anche sola e riconoscere tutte le emozioni che ha sempre inibito, trasformando così il senso di sé.
Imparare o riappropriarsi della capacità di gestire e regolare le relazioni con l’altro e con sé stessi porterà a risolvere la codipendenza.
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