Articolo scritto dalla Dr.ssa Anna Marchesi
Il 15 giugno è la Giornata mondiale contro l’abuso sugli anziani, istituita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per sensibilizzare rispetto a una problematica che, con il continuo aumento della popolazione anziana nel corso degli anni, rischia di riguardare sempre più persone. Diversi studi hanno infatti rilevato che il 16% delle persone di età superiore a 60 anni ha subito abusi di tipo psicologico, finanziario, fisico, sessuale o di trascuratezza. Gli elementi di rischio vanno individuati sia a livello individuale che collettivo. A livello individuale, è importante tenere sotto controllo l’aumento dello stress del caregiver nel momento cui cresce il bisogno di assistenza dell’anziano. A livello collettivo e di comunità, è necessario contrastare l’isolamento e la mancanza di sostegno sociale dell’anziano e della persona che se ne prende cura. In altre culture la dimensione della cura viene condivisa all’interno della famiglia allargata e della collettività, nella società occidentale, invece, spesso il ruolo di caregiver è riservato ai familiari più stretti e la rete sociale risulta molto povera o assente.
1. La figura dell’anziano nella società: una lettura psicologica
A quanto detto si aggiunge la considerazione della figura dell’anziano nella nostra cultura, che spesso viene vista come un peso e non come una risorsa. Essa richiama infatti aspetti come la debolezza, la fragilità, la malattia e la morte. La coscienza occidentale sembra caratterizzata da una rimozione di questi temi: ci si preoccupa di evitare la sofferenza e l’angoscia, che continuano però a essere presenti a un livello inconscio più o meno profondo ed emergono prepotentemente nel momento in cui gli eventi della vita ci obbligano a tale confronto. Le culture orientali, al contrario, sono improntate a una maggiore inclinazione ad accettare i limiti e le circostanze della vita.
I temi della depressione e del trascorrere del tempo si legano a quello della vecchiaia. Nella società contemporanea questa fase della vita è considerata solo dal punto di vista della perdita: diminuzione delle forze, della capacità di prestazione e della produttività. Al calo dell’energia fisica viene associato anche un calo dell’energia vitale: per questo la vecchiaia è ritenuta un momento di stagnazione e di stasi anche dal punto di vista psichico. L’inutilità diviene così causa di emarginazione dell’anziano, abbandono e solitudine. Aldo Carotenuto ritiene che si tratti di un meccanismo di rimozione della vecchiaia, volto ad allontanare il pensiero del termine dell’esistenza. In realtà l’invecchiamento del corpo non è legato a un arresto dello sviluppo psichico, in quanto la maturazione della personalità prosegue per tutta la vita e la molteplicità di esperienze vissute può rivelarsi una ricchezza per la spiritualità dell’anziano. Carl Gustav Jung riteneva che vi fosse un passaggio tra la prima metà della vita, volta maggiormente alla realizzazione di sé nel mondo esterno, e la seconda metà, caratterizzata invece da una maggiore attenzione verso la propria interiorità. Da questo punto di vista, gli anziani possiedono qualità che possono compensare lo stile di vita dei giovani e arricchire l’esperienza di chi sta loro vicino: grazie alla lentezza, sviluppano capacità di contemplazione e ponderazione e conoscono il
valore positivo dell’attesa e della memoria.
2. Chi è il caregiver?
“Caregiver” è un termine inglese che si significa “persona che si prende cura”. Ha iniziato ad essere utilizzato anche in italiano in ambito psicologico per indicare colui, o colei, che si occupa quotidianamente di un bambino, per sottolineare che tale figura è rappresentata per la maggior parte della volte dalla mamma, ma potrebbe essere anche il papà, o un altro familiare come nonni e zii o una persona esterna alla famiglia. Attualmente il termine è entrato nel linguaggio comune e viene utilizzato per parlare di una persona che assiste quotidianamente un altro individuo che ha bisogno di cure in quanto non autosufficiente, come anziani, malati e disabili. Non necessariamente si tratta di un parente, spesso infatti tali cure sono delegate a badanti e operatori socio sanitari che operano al domicilio della persona o presso strutture residenziali.
2.1 Cos’è la Sindrome del caregiver?
La Sindrome del caregiver è una condizione patologica che può derivare da periodi di stress e affaticamento cronico sia a livello emotivo che fisico. Prendersi cura quotidianamente di una persona malata, infatti, può comportare un pesante carico psicologico, soprattutto quando la situazione si protrae sempre più a lungo nel tempo senza essere riconosciuta dall’esterno. Per questo è importante conoscerla e saperne cogliere i primi segnali fin dalla loro insorgenza, al fine di mettere in atto azioni preventive per il benessere della persona.
2.2 Sintomatologia
I sintomi della Sindrome del caregiver comprendono aspetti legati alla sfera emotiva e ripercussioni a livello fisico, in quanto mente e corpo sono costantemente interconnessi e si influenzano a vicenda, come due facce della stessa medaglia.
Tra gli aspetti emotivi troviamo:
- Stress e affaticamento
- Ansia
- Irritabilità
- Rabbia
- Senso di colpa
- Sbalzi emotivi e depressione
- Senso di impotenza
- Perdita di motivazione
- Difficoltà di attenzione e concentrazione
- Difficoltà nel prendere decisioni
- Isolamento
Tra le ripercussioni a livello fisico:
- Perdita di appetito
- Disturbi del sonno
- Affaticamento fisico
- Sintomi da somatizzazione
- Calo delle difese immunitarie
- Calo del desiderio sessuale
- Abuso di alcol o sostanze
Tale sintomatologia può aggravarsi fino a impedire al soggetto di continuare a svolgere il suo ruolo di caregiver e necessitare egli stesso di cure mediche. La Sindrome del caregiver è strettamente correlata al Burn out, termine inglese che letteralmente significa “bruciato” o “esaurito” e indica infatti una condizione di esaurimento emotivo, fisico e mentale che sopraggiunge quando un individuo raggiunge il limite delle proprie risorse. Mentre il termine Burn out è utilizzato soprattutto in ambito lavorativo, in particolare nell’ambito delle professioni di aiuto, la Sindrome del caregiver si riferisce principalmente a parenti o familiari che si prendono cura della persona malata continuativamente e gratuitamente.
3. Come prevenirla
Prendersi cura di una persona malata a cui si è legati affettivamente può causare grande sofferenza, la preoccupazione costante può comportare stress e ansia e le paure possono diventare sempre più angoscianti. Tutti questi stati emotivi sono assolutamente normali, ma gestire da soli un tale carico emotivo può essere molto difficile, per questo è importante che il caregiver sia sempre consapevole della propria condizione, non sottovaluti i segnali di stress e, se lo ritiene necessario, non abbia paura di chiedere aiuto. L’isolamento è uno dei principali fattori di rischio, in quanto l’individuo può avere la sensazione di essere costretto a portare il peso della responsabilità solo sulle sue spalle. Spesso il desiderio di potersi concedere dei momenti per sé viene vissuto con senso di colpa, ma ritagliarsi tali spazi è di fondamentale importanza per il mantenimento del proprio benessere e quindi della capacità di occuparsi di un’altra persona. Il caregiver non deve quindi essere lasciato da solo, è necessaria la presenza di una rete di supporto, che può essere costituita da familiari e amici, o, se necessario, da professionisti.
3.1 Cosa fare
- Ascoltare i segnali del proprio corpo
- Riconoscere le proprie emozioni
- Costruire un equilibrio tra assistenza all’altro e cura di sé
- Costruire una rete di supporto
- Condividere i compiti
- Se necessario, chiedere aiuto a un professionista della salute mentale
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