Supporto alla genitorialità: che cos’è e come può essere utile

Supporto alla genitorialità_ che cos'è e come può essere utile

Articolo scritto dalla Dr.ssa Daniela Silvestro

Ciao! Sei un genitore, un tutore o semplicemente sei incuriosit* da questo articolo e sei interessat* a scoprire cos’è il supporto genitoriale, ti trovi nel posto giusto!

1. Cos’è il supporto genitoriale o parent training

Il supporto genitoriale, chiamato anche parent training, è uno strumento psicologico che fornisce, alla figura di riferimento del bambino o dell’adolescente, delle modalità più appropriate ed adeguate per rapportarsi con loro. Strumento presente all’interno della psicoterapia Cognitivo- Comportamentale, in cui si analizzano pensieri, emozioni e comportamento affinché si realizzi come questi tre elementi interagiscono fra loro e quali risultati portano all’interno della nostra vita quotidiana e le relative conseguenze.
Cosa rende efficace il parent training all’interno di questo costrutto? Sicuramente la sua versatilità ed il fondamento empirico e sperimentale derivato dall’analisi comportamentale. Produce esiti favorevoli alla durata della sua efficacia. Sebbene, infatti, ci siano diverse tecniche psicologiche e contesti in cui i bambini e/o gli adolescenti possono interagire per acquisire e/o migliorare delle abilità, è stato dimostrato che il parent training abbia risultati ottimali anche a lungo termine. Come mai è una tecnica condivisa? Essa prevede un rapporto condiviso e diadico: si tratta pur sempre di una relazione reciproca all’interno della quale i diretti interessati – genitori e figli – partecipano attivamente al loro miglioramento. In particolare, il modello riconosce ai genitori una funzione primaria nell’intervenire positivamente sui figli.

2. A chi è rivolto il supporto alla genitorialità e come si applica

Nella società odierna, il parent training è presente nel mondo della disabilità, da cui effettivamente ha avuto origine, ma anche in famiglie normotipiche. In particolare, si ha la credenza comune, che questo metodo possa avere più successo solo per quelle famiglie che hanno avuto una diagnosi su: sindrome dello spettro, problemi comportamentali, utilizzo di sostanze stupefacenti ed alcol negli adolescenti, deficit di attenzione/iperattività.

Nel contesto della disabilità, il sostegno genitoriale si interfaccia in maniera diversa alle varie caratteristiche del minore, si conforma al tipo di diagnosi ricevuta dalla Neuropsichiatria infantile prima e dal CSM (centro di salute mentale) dopo. Spesso e volentieri, in questo caso, il training prosegue anche in età adulta in quanto molti obiettivi tendono a modificarsi seguendo lo sviluppo del bambino ed il decorso della patologia. Ad esempio, come esplicato dal DSM 5, manuale psicodiagnostico a cui fanno riferimento psichiatri e psicologi, il genitore a cui verrà riferita la diagnosi di autismo – che può essere di tre livelli, cioè dal più grave al meno grave – alla base del supporto genitoriale, sarà fatta molta psico-educazione circa l’autismo, il lavoro da svolgere con il bambino e quali obiettivi raggiungere prima in terapia e poi in casa. Un altro esempio è fornito da quelle famiglie i cui figli hanno deficit dell’attenzione ed iperattività. In questo caso, l’intervento parte sempre da una prima fase di psico-educazione su cosa è il deficit.

Negli step a seguire, si insegna a gestire le emozioni del bambino; le emozioni del genitore in funzione del bambino, in modo da non risultare troppo sulla regola e troppo impositivo; prestare attenzione a quando il bambino attua dei buoni comportamenti che promuovono autonomia e collaborazione; concordare con il bambino un adeguato rinforzo positivo (si consiglia l’utilizzo della token economy a 5 punti per poi, piano piano, sostituire il punto con un rinforzo sociale. Questo perché gli oggetti materiali, a lungo andare, perdono il loro valore; mentre, nel caso del rinforzo sociale – una carezza, un abbraccio, battere il cinque – spinge il figlio a cercare sempre di più l’aspetto fisico-emotivo del proprio genitore). Utilizzare il costo della risposta – ovvero ottimizzare le risorse di entrambe le parti – e il time out, quindi se il bambino trasgredisce alla regola, è opportuno bloccarlo e mettere un timer di massimo 5 minuti.

Passare alla generalizzazione dell’uso del time out ad altri comportamenti negativi, è più accettata come punizione in quanto non fa sentire il bambino umiliato e gli permette di comprendere più precisamente l’errore. Gli ultimi due step si focalizzano sul prevedere probabili ricadute e future difficoltà comportamentali; rivedere e ripassare le tecniche apprese. Il modello di riferimento è stato messo a punto da Russel Barkley nel 1987 e per ulteriori approfondimenti invito a consultare “Il bambino con deficit di attenzione/iperattività”.

Come precedentemente affermato, il parent training ha molta più versatilità anche nei contesti normotipici. Difatti, può essere considerato uno strumento cardine all’interno di quelle famiglie in cui si riscontra un’incapacità di comunicare con i figli. Le motivazioni possono essere ricondotte a frasi del tipo “mia madre/mio padre non mi capisce”, “i miei figli non mi ascoltano”, “mi* figli* si chiude in stanza e non so cosa succede al suo interno”, etc. Delle volte, questo capita perché ci potrebbe essere in atto una separazione tra i coniugi, difficoltà scolastiche, difficoltà con i compagni di classe. Altre volte, invece, il comportamento evasivo dell’adolescente potrebbe essere sintomo di vittima di bullismo. Altre ancora, che sia più piccol* – preadolescente o adolescente, il minore sta iniziando la propria esplorazione sessuale e non sa ancora identificarsi specificatamente all’interno di un orientamento “socialmente accettabile”, creando in lei/lui una tale confusione da alimentare l’isolamento dal contesto familiare (NdA).

All’interno di questi scenari, il parent training ha lo scopo di migliorare le relazioni e favorire una comunicazione assertiva e gentile. Insegnare ai genitori a saper riconoscere le emozioni dei figli in relazione ad eventuali loro disagi, permette ai minori di essere intanto accolti, ascoltati ed infine compresi. Se questi tre passaggi avvengono in modo funzionale, allora i ragazzi saranno molto più propensi ad aprirsi spontaneamente verso la propria figura di riferimento. In questi casi, uno degli obiettivi più importanti del supporto genitoriale, diventa quello di avere la mente libera da ogni forma di pregiudizio e giudizio, fornire un ambiente sicuro, un clima sereno all’interno del quale i figli possano aprirsi abbattendo, quindi, eventuali “muri” emotivi a cui – soprattutto gli adolescenti – si sentono di “sbattere” contro.

Conclusioni

Sebbene spesso capita che le famiglie non si sentano in grado di gestire determinate situazioni con i propri figli in quanto si pensa di non avere le risorse per farne fronte, adesso avendo a proprio vantaggio la possibilità di iniziare un percorso psicologico basato sul parent training, diventa semplice poter pensare di aiutarsi ed aiutare.

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