Articolo scritto dal Dr. Stefano Bordone
Di cosa parliamo quando si parla di trauma? Lasciando da parte la definizione medica che fa riferimento ad una lesione più o meno estesa dell’organismo, il trauma psicologico è descritto secondo il DSM 5 (il manuale diagnostico dei disturbi mentali) come un evento che espone la persona a morte o ad una minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale in uno o più dei seguenti modi:
- fare esperienza diretta dell’evento
- assistere a un evento traumatico accaduto ad altri
- venire a conoscenza dell’evento accaduto a un membro della famiglia oppure a un amico stretto
- fare esperienza di una ripetuta o estrema esposizione a dettagli crudi ed espliciti dell’evento traumatico
Questa definizione si concentra molto sulla natura specifica dell’evento ma si può parlare di trauma anche e soprattutto quando parliamo di tutte quelle esperienze minacciose e insostenibili, di natura estrema ed inevitabile che ci colgono nell’impossibilità di reagire e verso le quali ci troviamo (e sentiamo) impotenti.
Ora sappiamo che queste esperienze modificano e influenzano il nostro modo di sentire, il nostro rapporto con la realtà, il centro stesso della nostra esistenza. Nella nostra comprensione il trauma si è spostato dall’essere esclusivamente un evento accaduto nel passato al segno tangibile che una determinata esperienza lascia sul nostro corpo e nella nostra mente.
La sofferenza nel presente prende così la forma di flashback dell’evento, pensieri intrusivi e sofferenza se esposti a stimoli che ricordano l’evento o gli eventi, tentativi di evitamento di pensieri, luoghi, immagini e altri elementi che potrebbero ricordare l’esperienza. Ci sentiamo irritabili e il nostro comportamento può diventare esplosivo e rabbioso in maniera imprevedibile, non riusciamo a concentrarci e ci sentiamo costantemente in allerta, incontriamo difficoltà nel sonno. Anche il nostro umore viene alterato, con sentimenti di colpa e responsabilità, depressione e difficoltà a provare piacere. Possiamo dimenticare una o più parti dell’esperienza o sentirci distaccati dagli altri, dal nostro corpo o dalla realtà.
1. L’importanza delle parole: condividere serve?
Gli studi sul trauma ci hanno insegnato che trovare le parole adatte a descrivere le nostre esperienze traumatiche è importante ma non basta. Raccontare la nostra storia non modifica le risposte del nostro corpo che sono ormai diventate automatiche. Per cambiare, il nostro corpo spaventato avrà bisogno di imparare che la minaccia si trova nel passato e che è necessario vivere la realtà del momento presente.
Anche dopo molti anni infatti chi soffre a causa dei traumi, ha molte difficoltà a condividere con gli altri la propria esperienza. I corpi rivivono la paura e il terrore, la rabbia ma anche il senso di impotenza così come l’istinto di attaccare o fuggire. Purtroppo tutti questi vissuti, sentimenti, emozioni non trovano voce, sono impossibili da esprimere. Il trauma diventa incomprensibile, perché ci toglie sia la possibilità di immaginare il passato sia la possibilità di esprimerlo utilizzando un linguaggio condiviso con gli altri. Dove finisce il linguaggio arrivano le immagini dell’esperienza, fissate nella memoria, che si fanno nuovamente presente tramite i flashback o gli incubi.
2. Cosa succede al corpo?
Ma cosa succede al nostro corpo? Possiamo provare ad immaginare un sistema di allarme presente nel nostro cervello che, se acceso e in presenza di pericolo imminente, attiva automaticamente la risposta di fuga che scaturisce dalle parti più antiche del cervello stesso.
Il nostro cervello infatti si è evoluto dal basso verso l’alto seguendo il corso dell’evoluzione, dalla parte più antica e primitiva, il cervello rettiliano, a quella più recente, la neocorteccia, passando per il cervello mammaliano, o limbico, in cui risiedono emozioni e il centro di controllo del pericolo.
In risposta alla situazione di pericolo le strategie a disposizione sono quelle di attacco/fuga/congelamento. L’attivazione delle aree antiche del cervello si traduce in una maggiore produzione di ormoni dello stress, cortisolo e adrenalina, e fa si che quelle più recenti si “spengano” almeno parzialmente, poiché ci prepariamo a correre o nasconderci, combattere o immobilizzarci. E’ questo il motivo per cui possiamo essere già in movimento prima di renderci conto della situazione.
Se le risposte hanno successo, e riusciamo ad eludere il pericolo, il controllo passa nuovamente alle aree superiori del cervello e riprendiamo il controllo di noi stessi e la piena consapevolezza. Ma quando questa risposta fisiologica è impossibile (l’esperienza di impotenza descritta prima) l’ormone dello stress continua ad essere prodotto e a circolare nel corpo in grande quantità e il segnale di allarme continua ad essere attivo: Siamo pronti a fuggire o ad attaccare (o ad immobilizzarci) di fronte ad una minaccia che non esiste più.
Sono proprio i sistemi di allarme difettosi che ci portano a scoppi di rabbia improvvisi, agli svenimenti, agli scontri che le persone a noi care. Lo “spegnimento” delle aree superiori, responsabili del linguaggio, della coscienza, della registrazione dei ricordi nella continuità della nostra storia, fa si che l’esperienza rimanga frammentata in tante parti, emozioni, suoni, immagini, pensieri, sensazioni corporee. Ognuna di queste parti torna nel presente, tiene vivo il sistema di allarme e fa si che proprio l’ormone dello stress rinforzi i ricordi.
3. L’importanza della relazione
Oggi sappiamo che uno degli aspetti forse più importanti della salute mentale è il potersi sentire al sicuro con le altre persone. Condizioni fondamentali per vivere una vita soddisfacente e piena di significato sono rapporti significativi e connessioni sicure. Il supporto sociale rappresenta infatti il principale fattore protettivo contro gli effetti devastanti dello stress traumatico.
Ma quando un organismo è in lotta con una minaccia già passata, come avviene a seguito del trauma, tutte le sue energie sono dedicate alla sopravvivenza, senza più spazio per la cura e l’accudimento, l’amore, le relazioni.
Naturalmente ciò che conta non è la semplice presenza, ma l’esperienza di sentirsi visti, ascoltati e accolti dalle persone intorno a noi. Purtroppo quando siamo traumatizzati perdiamo questa possibilità di sentirci “sintonizzati” con gli altri. Per questo molto spesso troviamo conforto in quei gruppi che condividono le nostre stesse esperienze in un disperato tentativo di spezzare l’isolamento.
Grazie alle ricerche di Stephen Porges possiamo finalmente andare oltre il modello attacco/fuga, arricchendolo della dimensione relazionale. Infatti oggi sappiamo che il nostro sistema nervoso autonomo si occupa di regolare 3 livelli differenti di attivazione del nostro organismo, fondamentali per l’esistenza. Il passaggio da uno all’altro di questi livelli dipende da quanto ci sentiamo al sicuro in ogni situazione. Immaginiamo quindi di sentirci minacciati ed ecco che il primo livello ad attivarsi sarà quello chiamato del coinvolgimento sociale, che ci porterà a cercare attivamente l’aiuto e/o il conforto di altre persone intorno a noi.
Questo livello è molto importante poiché quando è attivo e ha successo, il nostro cuore rallenta i battiti e il respiro si fa più profondo, siamo rilassati e presenti a noi stessi e agli altri, riconosciamo i volti, le espressioni e le emozioni che rappresentano, siamo in grado di ascoltare e riusciamo a cogliere le sfumature e il tono della voce dei nostri vicini (questo perché i nervi responsabili del coinvolgimento sociale comunicano molto rapidamente con i nervi dei muscoli facciali, dell’orecchio, della gola e del nostro apparato vocale.)
Come detto prima però, se nessuno può aiutarci o il pericolo è imminente il secondo livello ad attivarsi sarà quello delle strategie di attacco/fuga. La terza e ultima strategia interviene quando nessuna delle precedenti è più utilizzabile, siamo intrappolati. In questo caso ci congeliamo o collassiamo.
Affinchè si possa trarre conforto e cura dalla relazione con un altro essere umano, è necessario che il primo livello possa attivarsi e mantenersi attivo. Quando questo è possibile allora i vantaggi sono evidenti:
- Riusciamo a sentirci diversamente grazie alla vista di un certo viso o al tono di una voce rassicurante.
- Riusciamo a trovare e percepire calma e sicurezza quando sappiamo essere visti, riconosciuti e accolti dalle persone significative intorno a noi.
- Impegnarci in un compito e obiettivo condiviso con qualcuno ci aiuta a regolarci, superare la paura e il senso di distacco dalla realtà.
Purtroppo le situazioni di pericolo fanno si che questo sistema si spenga progressivamente, rendendoci più sensibili ai segnali di pericolo e meno ad esempio alla voce di un’altra persona. Quando si raggiunge il livello più basso, quello che porta al collasso o al congelamento, non siamo solo noi a distaccarci e a smettere di “esistere” ma anche le altre persone non esistono più.
4. Come sentirsi sicuri?
Per poterci sentire al sicuro nella quotidianità e riprendere ad abitare il nostro corpo senza essere sopraffatti dal terrore dobbiamo imparare a regolare le emozioni intense che scaturiscono quando l’orrore del trauma riaffiora nel presente. La terapia del trauma si articola quindi secondo una serie di obiettivi fondamentali:
- aiutare la persona traumatizzata a trovare modi e acquisire strumenti per sentirsi tranquilla
- trovare strategie e strumenti per mantenersi calma quando riaffiorano elementi dell’esperienza che richiamano il passato
- riuscire a rimanere ancorati al presente e sintonizzati con le persone intorno
- essere totalmente sinceri verso se stessi (non deve esserci né vergogna né giudizio sia nella sopravvivenza che nei modi in cui la si è conquistata)5
5. Strategie e metodi per la regolazione e la concentrazione
Essi includono tecniche definite top-down, ossia dall’alto verso il basso, come ad esempio la mindfulness o lo yoga, agiscono proprio sui livelli più evoluti del cervello per mantenere alta la consapevolezza sul nostro corpo e su ciò che accade intorno a noi favorendo proprio il coinvolgimento sociale descritto prima con tutti i suoi vantaggi.
Altre tecniche definite bottom-up, dal basso verso l’alto, lavorano invece sulle parti più profonde e antiche, e agiscono sul respiro, il tatto e il movimento. Acquisire una buona padronanza sulla respirazione è essenziale per il mantenimento o il recupero di livelli di calma adatti a gestire le situazioni di crisi non solo in caso di trauma ma per una vasta gamma di disturbi e nella vita di tutti i giorni.
E la relazione? Quando siamo spaventati, nulla è più efficace per calmarci che una voce rassicurante o l’abbraccio di una persona fidata. Per guarire dalle ferite del trauma abbiamo bisogno di relazioni. Che siano contesti familiari, gruppi di auto mutuo aiuto, organizzazioni, psicoterapia, congregazioni religiose, i nostri cari. Il valore terapeutico di questi rapporti è quello di fornire una sicurezza rispetto al timore del giudizio, ai sentimenti di vergogna. Fornisce il supporto necessario a restituire il coraggio di far fronte al dolore del ricordo, di tollerarlo ed elaborarlo.
Il trauma mette a dura prova la naturale capacità di potersi fidare e affidare, sottraendoci una parte curativa essenziale del processo di guarigione. Il timore di poter essere nuovamente feriti o di ritrovarsi impotenti nel chiedere aiuto non può che attivare forme di difesa e sopravvivenza basate sulla distanza e la soppressione delle emozioni.
Scopo della terapia diventa quindi quello di fornire un contenitore relazione, uno spazio sicuro in cui ricostruire la fiducia verso un altro essere umano che non avrà paura del nostro terrore, del nostro corpo ferito, che ci accompagnerà senza lasciarci andare e senza giudicare, accogliendo ogni vissuto, dalla vergogna più profonda alla rabbia più distruttiva senza lasciarsi travolgere, nel ricostruire le esperienze del passato rimaste sepolte eppure sempre presenti in forma di dolore, paure e angosce.
Conclusioni
Sentirci vicini ad altre persone, sintonizzati con i nostri simili grazie a quel sistema di coinvolgimento sociale di cui siamo forniti ci fa sentire bene, è gratificante, si accompagna ad emozioni piacevoli e propositive, è fonte di energia. Affinché questo sia possibile è però necessario che il sistema di difesa sia momentaneamente in stand-by, pronto in ogni momento a riattivarsi ma silenzioso e in disparte. Chi è traumatizzato non può far affidamento su questa sospensione del sistema di difesa perché ha imparato sulla propria pelle quanto possa essere pericoloso. Lavorare sul trauma significa lasciare il passato nel passato e ricominciare a vivere pienamente il presente.
Non esiste una terapia elettiva per il trauma ma un numero considerevole di trattamenti considerati efficaci. Tra questi troviamo ad esempio gli approcci basati sull’EMDR, sulla mindfulness o sulla terapia senso-motoria. A prescindere però dall’approccio terapeutico come abbiamo visto la relazione gioca un ruolo fondamentale perché si possa guarire dal trauma, perciò la scelta del terapeuta è un aspetto essenziale di tutto il percorso, poiché il processo di cura inizia nel momento in cui chiediamo aiuto.
Se state soffrendo a causa di un trauma potete agire subito rivolgendovi ad un terapeuta professionista per pianificare insieme un intervento. Per Psicologo4U sono esperto di approcci CBT per il trattamento di una vasta gamma di disturbi, sono terapeuta EMDR abilitato CRSP e utilizzo la Mindfulness nella mia pratica clinica.